di Roberto Greco
Nel 2011 è diventata la prima compagnia aerea italiana per volumi di traffico, con quasi 28 milioni di passeggeri trasportati (contro i 25 di Alitalia-Cai). Un'escalation che sembra non conoscere limiti.
Ma dietro il successo di Ryanair si nascondono diversi aspetti discutibili: il più eclatante è la deregolamentazione. "È semplice – sostiene Gianni Platania, della Filt nazionale –, il gruppo non rispetta le regole volte ad assicurare una competizione leale con gli altri vettori, nonché le norme a tutela dei diritti dei lavoratori dei paesi in cui opera.
Questo gli permette di accumulare notevoli margini di profitto in un arco di tempo relativamente breve. Per quanto riguarda gli scali, poi, l'assenza di vigilanza da parte delle istituzioni, anche locali, sul territorio, in qualche caso, vedi Orio al Serio (Bergamo), Pisa, Alghero, Roma Ciampino, gli ha consentito un comportamento da autentico soggetto monopolista. Sul piano contrattuale, invece, la compagnia non ha mai riconosciuto la nostra legislazione né le direttive europee e si rifà unicamente a quella irlandese, anche se tutto il personale vive e lavora in Italia".
Di fatto, Ryanair è l'unico vettore europeo ad avere molte basi nel nostro paese e allo stesso tempo a non osservare le regole contrattuali di diritto italiano: per tale motivo la legittimità della sua presenza sul nostro territorio rimane dubbia. Ad oggi è sempre più forte la richiesta dei lavoratori del gruppo che chiedono sia rispettato il loro diritto ad avere parità di trattamento con i colleghi italiani di tutte le altre compagnie. In realtà il management stipula solo contratti "ad personam", di durata variabile, di solito triennale, che non vengono firmati né riconosciuti da nessuna sigla sindacale.
I circa ottocento addetti attualmente in servizio (quasi tutti piloti e assistenti di volo, più qualche unità a terra) sono stati assunti in parte direttamente dalla società, oppure tramite agenzie interinali. Il turn over del personale (formato da molti stranieri, perlopiù provenienti dall'Europa dell'Est) è continuo, con trasferimenti da una base all'altra e da un paese all'altro. Il segreto della low cost di Dublino è che tutto, ma proprio tutto, al suo interno è low cost: dagli stipendi al minimo (di solito, oscillano tra 1.000 e 1.200 euro, tranne che per i piloti, da 2.000 in su, diarie, trasferte e festivi inclusi). Il conteggio dell'orario avviene sulle ore volate, con un'alta media di tratte effettuate (anche quattro o più al giorno), cui va aggiunta una percentuale derivante da quanto si è riusciti a vendere a bordo (dall'acqua minerale al profumo). Per non parlare dei corsi di formazione, completamente a carico degli aspiranti lavoratori, così come le visite mediche.
"Si paga tutto – spiega Platania –, persino la divisa da indossare, ma in busta paga non vi è traccia di contributi pensionistici, che possano poi essere ricongiunti in Italia, secondo quanto avviene in Irlanda e sulla falsariga del modello americano, dove ai fini previdenziali esiste solo la pensione sociale, oltre alle assicurazioni private". I carichi di lavoro sono abnormi, in quanto il personale è preposto a una pluralità di mansioni, sia a terra che in volo, e non ha la benché minima possibilità di opporsi: sindacato, rivendicazione, sciopero, infatti, sono tutte parole sconosciute nell'azienda di Michael O' Leary. "Noi non contrattiamo con nessuno – conclude Platania –: è quel che ci sentiamo rispondere ogni volta che proviamo ad avvicinare i responsabili della compagnia.
Di fatto, sul piano delle relazioni industriali, questa compagnia ha tutto da imparare e sta portando l'intero settore all'imbarbarimento. A questo punto noi pensiamo che il nostro governo dovrebbe intervenire al più presto con una presa di posizione ufficiale, al fine di chiarire le cose, considerando l'acquisita preponderanza sul mercato nazionale di Ryanair".
Sabato 24 Marzo 2012