di Stefano Galieni
Gianni Rinaldini, Coordinatore nazionale dell’area “la Cgil che vogliamo”, esprime una valutazione molto netta e critica rispetto alla riforma del mercato del lavoro che il governo si appresta a varare.
«Di fatto siamo di fronte ad uno svuotamento totale dell’articolo 18. Per una banale ragione: si tratta di un articolo fondato sul diritto alla reintegra sul posto di lavoro di fronte ad un licenziamento senza giusta causa.
Oggi, nella proposta del governo, fatto salvo i licenziamenti discriminatori, peraltro incostituzionali, il reintegro diventa un eccezione e non più la norma perché per i licenziamenti dovuti a ragioni economiche, si è modificata la legge del 1966, precedente allo Statuto e si risolve con una indennità monetaria. Per i licenziamenti dovuti a motivi disciplinari, dopo un lungo percorso che incentiva il lavoratore a concordare l’indennità, il giudice può decidere fra il reintegro o l’indennità. Quindi il reintegro è previsto soltanto in una tipologia nuova che è quella di un licenziamento discriminatorio camuffato da licenziamento economico su cui per altro si afferma che le ragioni economiche sono insindacabili da parte del giudice perché proprie dell’azienda. Il significato dell’articolo 18 , “il lavoro non è una merce”, viene azzerato. L’attuale impianto - lo ha affermato con chiarezza ieri la Fornero - attiene ad una concezione proprietaria del posto di lavoro. Bisogna darle atto che ha esplicitamente dichiarato il senso profondo della riforma».
E sull’intero impianto della proposta cosa pensi?
«Una valutazione totalmente negativa nell’intero impianto delle risposte. L’ articolo 18 non è un sovrappiù, attraversa tutti gli altri aspetti della proposta, a partire da fatto che il primo contratto a termine o di somministrazione viene fatto con l’abolizione delle causali. Si badi bene non il primo per il lavoratore, ma per lo stesso padrone. Nelle forme di entrata c’è un allargamento fino al 100% dei dipendenti che possono ritrovarsi con contratti di apprendistato, una situazione non credibile e che serve solo a ridurre i costi per l’impresa. Tutte le altre forme di lavoro precario sono confermate. Sugli ammortizzatori non hanno pensato a nessun processo di universalizzazione, nonostante la crisi, oltre al fatto che anche lì si riducono i tempi per accelerare i licenziamenti. Il tutto si incrocia in maniera pesantissima con la riforma delle pensioni e con il dramma degli “esodati”.
Ti aspetti risposte dalla politica?
«Il governo Monti sta applicando la lettera della Bce di agosto. Se uno se la va a rileggere c’è scritto già tutto. Siamo in una situazione farsesca. Tanto valeva che venisse nominato un commissario della Bce al governo. Sarebbe stata una scelta più corretta e senza infingimenti. La politica rappresentata in Parlamento è ingabbiata nel sostegno al governo. Alla fin fine nessuno ha intenzione di aprire un conflitto vero rispetto al governo Monti».
Stefano Galieni
Gianni Rinaldini, Coordinatore nazionale dell’area “la Cgil che vogliamo”, esprime una valutazione molto netta e critica rispetto alla riforma del mercato del lavoro che il governo si appresta a varare.
«Di fatto siamo di fronte ad uno svuotamento totale dell’articolo 18. Per una banale ragione: si tratta di un articolo fondato sul diritto alla reintegra sul posto di lavoro di fronte ad un licenziamento senza giusta causa. Oggi, nella proposta del governo, fatto salvo i licenziamenti discriminatori, peraltro incostituzionali, il reintegro diventa un eccezione e non più la norma perché per i licenziamenti dovuti a ragioni economiche, si è modificata la legge del 1966, precedente allo Statuto e si risolve con una indennità monetaria. Per i licenziamenti dovuti a motivi disciplinari, dopo un lungo percorso che incentiva il lavoratore a concordare l’indennità, il giudice può decidere fra il reintegro o l’indennità. Quindi il reintegro è previsto soltanto in una tipologia nuova che è quella di un licenziamento discriminatorio camuffato da licenziamento economico su cui per altro si afferma che le ragioni economiche sono insindacabili da parte del giudice perché proprie dell’azienda. Il significato dell’articolo 18 , “il lavoro non è una merce”, viene azzerato. L’attuale impianto - lo ha affermato con chiarezza ieri la Fornero - attiene ad una concezione proprietaria del posto di lavoro. Bisogna darle atto che ha esplicitamente dichiarato il senso profondo della riforma».
E sull’intero impianto della proposta cosa pensi?
«Una valutazione totalmente negativa nell’intero impianto delle risposte. L’ articolo 18 non è un sovrappiù, attraversa tutti gli altri aspetti della proposta, a partire da fatto che il primo contratto a termine o di somministrazione viene fatto con l’abolizione delle causali. Si badi bene non il primo per il lavoratore, ma per lo stesso padrone. Nelle forme di entrata c’è un allargamento fino al 100% dei dipendenti che possono ritrovarsi con contratti di apprendistato, una situazione non credibile e che serve solo a ridurre i costi per l’impresa. Tutte le altre forme di lavoro precario sono confermate. Sugli ammortizzatori non hanno pensato a nessun processo di universalizzazione, nonostante la crisi, oltre al fatto che anche lì si riducono i tempi per accelerare i licenziamenti. Il tutto si incrocia in maniera pesantissima con la riforma delle pensioni e con il dramma degli “esodati”.
Ti aspetti risposte dalla politica?
«Il governo Monti sta applicando la lettera della Bce di agosto. Se uno se la va a rileggere c’è scritto già tutto. Siamo in una situazione farsesca. Tanto valeva che venisse nominato un commissario della Bce al governo. Sarebbe stata una scelta più corretta e senza infingimenti. La politica rappresentata in Parlamento è ingabbiata nel sostegno al governo. Alla fin fine nessuno ha intenzione di aprire un conflitto vero rispetto al governo Monti».