di Maria Mantello
A Brescia in piazza della Loggia il 28 maggio 1974 si svolgeva una manifestazione sindacale antifascista. Per sostenere il processo di emancipazione del Paese che la Strategia della tensione con le sue bombe cercava di bloccare.
C'era stata Piazza Fontana il 12 dicembre del 1969, a Milano, nella sede della Banca dell'Agricoltura, per far credere che fosse la sinistra a colpire il capitale anche nella piccola imprenditoria che a quella banca si rivolgeva.
Sedici morti e 88 feriti. A seguire la morte di Pinelli in questura quattro giorni dopo e l'arresto di Valpreda...
C'era stato il 22 luglio 1970 di Gioia Tauro col deragliamento della Freccia del Sud. Ancora una bomba seminava terrore colpendo un treno di lavoratori: 6 morti e oltre 60 feriti. Pochi giorni prima era iniziata a Reggio Calabria la rivolta campanilista dove in inquietanti intrecci tra mafia e fascismo si cavalcava il disagio meridionale al grido di "Boia chi molla".
Il messaggio era chiaro: state lontani da qui perché è "cosa nostra". Ma si preferì accreditare il deragliamento per incidente, anche dopo una illuminante perizia del 23 giugno 1973, che chiarisce come «la deformazione della piastra prelevata in corrispondenza della rotaia con suola danneggiata è da attribuirsi sicuramente all'azione dell'esplosione e non all'urto del materiale rotabile».
Se per piazza Fontana si era individuato negli anarchici Pinelli e Valpreda (innocenti) il facile bersaglio, per Gioia Tauro sono i ferrovieri, più evocativi di "rossi pericolosi" per l'immaginario perbenista. E quattro ferrovieri innocenti vengono incriminati...
Intanto però, anche la pista nera qualcuno cominciava coraggiosamente a batterla. Gli strateghi si sentono in pericolo, e mandano il loro segnale di morte ai brigadieri che indagano. Ed è la strage di Peteano: il 31 maggio 1972 tre carabinieri sono fatti saltare in aria da un'altra bomba opportunamente posta nel bagagliaio di un'automobile che avrebbero dovuto perquisire. Un avviso chiaro, come dichiarerà il pentito neofascista Vinciguerra: lasciate stare i neri! Le indagini della Magistratura confermeranno, visto che nel 1987 due alti ufficiali dei carabinieri sono condannati a dieci anni e mezzo di reclusione per deviazione e depistaggio su questa strage. Dietro di loro un altro generale, Giovambattista Palumbo, che però non potrà testimoniare, perché deceduto. "Stragi di Stato"?
L'Italia civile e democratica sa e vuole giustizia. Le manifestazioni antifasciste e in difesa della Costituzione repubblicana si susseguono: per la libertà, per i diritti, per la democrazia.
A Brescia in quel piovoso martedì del 28 maggio 1974 sono i sindacati a chiamare a raccolta nella splendida Piazza della Loggia. Ma le mani assassine della Strategia della tensione stanno in agguato. Un'altra bomba, questa volta nascosta dentro un cestino di rifiuti lascia a terra 104 feriti e 8 morti: Livia Bottardi (32 anni) - Giulietta Banzi Basoli (34 anni) - Clementina Calzari (31 anni) - Alberto Trebeschi (37 anni) - Luigi Pinto (25 anni) - Euplo Natali (69 anni) - Bartolomeo Talenti (56 anni) - Vittorio Zambarda (60 anni).
Stranamente i pompieri azionano le loro pompe. Così oltre al sangue che potrebbe impressionare i passanti (questa è una delle dichiarazioni di getto della polizia a chi chiedeva di far chiudere gli idranti), anche i resti dell'ordigno sono spazzati via.
Altra stranezza: ci sono pochissimi carabinieri in piazza. Il loro capitano, Francesco Delfino, è in Sardegna, e quasi tutto il suo reparto è stato inviato a un corso di formazione.
Delfino ha nostalgie fasciste e le mani in pasta con i servizi segreti. Il suo nome che ricorre in molte inchiesta sulle stragi, oltre a quella di Brescia, è rimbalzato anche sulle pagine di cronaca nera in occasione del rapimento di Giuseppe Soffiantini (1997). Delfino è ormai generale (ha fatto carriera) e viene accusato di aver estorto alla famiglia del sequestrato, per favorirne il rilascio, quasi un miliardo di lire. Per questo reato nel 2001 è stato condannato definitivamente in Cassazione a 3 anni e 4 mesi di carcere.
Ma dalla strage di Brescia, grazie alla recente sentenza del 14 aprile 2012 della Corte d'Appello d'Assise, Delfino esce assolto. E con lui gli altri imputati che la trama nera lega in quegli anni e i cui nomi, come quello di Delfino, ricorrono nelle indagini della Magistratura e negli atti delle Commissioni Parlamentari d'inchiesta.
Carlo Maria Maggi della cellula veneta di Ordine Nuovo.
Delfo Zorzi, anch'egli ordinovista e che oggi fa tranquillamente l'imprenditore a Tokyo. Il suo nome nuovo è Hagen Roi, ha preso la cittadinanza giapponese, che lo ha protetto dal pericolo di estradizione per presentarsi ai processi in Italia.
Maurizio Tramonte, neofascista e strutturale collaboratore dei Servizi segreti.
Col Generale Delfino, tutti assolti! Per insufficienza di prove!
Già le prove... ma gli stragisti fanno le cose "pulite", anche per la rete di connivenze e complicità di quegli apparati dello Stato, che si continua ipocritamente a chiamare deviati, come se le persone ai vertici non fossero gli stessi inquietanti personaggi opportunamente selezionati per occupare quei gangli vitali nella pericolosa partita del gioco delle parti tra "Gladiatori" e paraventi di "Stato deviato".
Tutto noto! Lo sapevamo. Lo sappiamo, come urlava Pasolini nel suo terribile "Io so".
È Storia, che tutti possono studiare.
Allora è indecente che le stragi continuino a restare una verità nascosta, per gli omissis mai fino in fondo sottratti alla coltre di filo spinato del "segreto di stato".
Così continuano a restare impuniti gli assassini che sia come manovalanza che come ideologi e funzionari, sono stati i protagonisti di quella Strategia della tensione (continuata negli anni Ottanta e forse oltre ancora) che cercava di bloccare il processo di emancipazione dell'Italia nella svolta progressista laica e libertaria di quei formidabili anni Settanta. Una svolta progressista che si chiama parità, uguaglianza, diritti per le donne, i giovani, i lavoratori.
Una rivoluzione copernicana per la democrazia, che ancora oggi qualcuno ha interesse a demonizzare sferrando un mortale attacco proprio ai diritti conquistati in quegli anni di azione collettiva. E nella resa dei conti chiama a paravento questa volta la crisi. Una crisi che non hanno certo prodotto i cittadini, ma governanti e imprenditori presi dalla sindrome del liberismo selvaggio, e che oggi di fronte al default del neocapitalismo non vogliono affrontare il problema dell'equità sociale per continuare a star seduti sul velluto.
La Strategia della tensione di oggi è allora la bomba ad orologeria del lavoro precario e senza tutele, proposto paradossalmente come panacea per superare la crisi. È lo spauracchio della precarietà, che nella perdita di diritti e dignità, fa accettare ogni condizione di precarietà. La sostanza non cambia, c'è anche chi la chiama ipocritamente "flessibilità".
Oggi, in nome della crisi, un padronato sempre più arrogante sembra voler far credere con il collaborazionismo di una classe di governo che ne è l'espressione, che gli anni Settanta sono roba vecchia, e che tutto sommato chi faceva saltare in aria i lavoratori che allora si chiamavano compagni come in quel 28 maggio del 1974 a Piazza della Loggia è roba passata. Roba da dimenticare.
E c'è da aspettarsi che prima o poi, come per le stragi nazifasciste, qualcuno dica dei vari Delfino, Zorzi, Maggi... che in fondo sono poveri vecchi da lasciare in pace.
da Micromega, Martedì 17 Aprile 2012