Gianroberto-Casaleggio

di Tonino Bucci
Non può essere il web a fare da «cinghia di trasmissione delle istanze dei cittadini verso le istituzioni». Al posto dei partiti s'intende. Il nodo sta proprio in queste parole pronunciate ieri dal Presidente della repubblica Napolitano in un incontro con i “giovani”. Se la rete possa diventare o meno il luogo delle decisioni politiche. E se ci sia ancora bisogno dei partiti per mediare tra lo Stato e i cittadini.

Certo, se il cinquanta per cento degli elettori ai ballottaggi ha preferito rimanere a casa, qualche cosa dovrà pur dire, no? E se una parte consistente di quelli che a votare ci sono andati, ha scelto il M5S perché è un outsider ed è l'unico che contesta tutti i partiti tradizionali, anche in questo una ragione ci sarà.

E non sono mica soltanto i partiti che “comandano" a essere stati puniti. Tutti i partiti patiscono la scarsa credibilità. Facile addossare le colpe della disaffezione politica ai “grillini”, ma così non si fa un passo avanti nel capire cosa succede. Nel bene e nel male siamo a una svolta storica nel nostro paese. Deve essere accaduto qualcosa di grave se la forma partito è così malvista oggi in Italia. Visto in chiave storica è ancora più sorprendente. In Italia i partiti del dopoguerra – quelli della Prima repubblica - sono stati una palestra di democrazia per le masse: si sono formati nell'antifascismo, hanno fatto la Resistenza, hanno scritto la Costituzione e c'è stato persino un tempo nel quale i loro dirigenti e i loro militanti erano esempi di rigore morale e di dedizione all'interesse collettivo. Poi è accaduto quel che è accaduto: il consociativismo, l'occupazione del potere, il craxismo, tangentopoli, la Seconda repubblica, il berlusconismo, l'omologazione.
Torniamo alla questione sollevata da Napolitano. Il web può sostituire i partiti? Un problema mica di poco conto. Lo sanno bene i candidati del M5S da poco eletti. Il sindaco di Parma Pizzarotti ha messo su Twitter delle foto che facciano vedere a tutti la sua nuova vita da primo cittadino. Ce n'è una che mostra la sua stanza in municipio, quella in cui si recherà tutti i giorni. Una stanza disadorna, sobria, senza manie di grandezza e senza oggetti che possano tradire desideri di smisurata ambizione. E a testimoniare che i suoi comportamenti quotidiani resteranno come prima improntati al rigore, Pizzarotti ha postato persino un'immagine della sua bici pieghevole appena acquistata per recarsi al nuovo lavoro. Austero, ecologico, green. Insomma, uno come noi, uno nel quale tutti possano proiettare i propri ideali di ascetismo. E, diciamo la verità, anche uno che possa assecondare un certo voyeurismo, un certo desiderio atavico di scrutare nelle stanze del potere. Non per niente questa teoria del web che azzera le distinzioni, che rende tutti uguali – amministratori e amministrati, cittadini ed elettori – che fa partecipare tutti e in maniera orizzontale, è stata definita maoismo digitale. E nel caso in questione si mescola al ritorno di qualcosa di antico. Il politico in versione “grillina” deve apparire francescano e vivere in una stanza di vetro, sotto lo sguardo costante dei cittadini. Sarà che a forza di vedere politici in cachemire, doppio petto e scarpe da mille euro agli italiani è venuta voglia di puritanesimo e di votare soltanto umili lavoratori della vigna di Dio. Ma al di là degli usi e dei costumi il problema degli esponenti del M5S è come ridurre quel divario tra politici e cittadini che vanno denunciando da anni. Chi viene eletto – dicono – ha da essere un semplice amministratore, un portavoce, un mero esecutore della volontà popolare. Che a dirsi però in quali luoghi e con quale procedure si manifesti è cosa ardua – ben lo sapeva Rousseau.
A Mira, comune in provincia di Venezia, c'è il sindaco più giovane d'Italia. Si chiama Alvise Maniero, ha 26 anni, veste in polo e jeans ed è del M5S. Studia scienze politiche all'università e, a quanto pare, ha in progetto una tesi sulla partecipazione diretta dei cittadini al governo. Anche qui la cura dell'immagine è meticolosa. Il ricambio della classe politica deve essere evidente al primo colpo d'occhio. L'addetto stampa del sindaco è ancora più giovane: si chiama Michele Pieron, ha 18 anni e fa il liceo. Però non bastano una polo e un paio di jeans a risolvere il divario tra istituzioni e cittadini. I sindaci del M5S dovranno amministrare il potere di cui sono stati investiti. In questi giorni sono alle prese col problema degli assessori da nominare nelle proprie giunte. E per la prima volta da quando è nato il M5S deve imparare a funzionare come una forza politica nazionale. E se proprio non si vuole chiamarlo “partito”, dovrà pure dotarsi di una forma politica. E di regole da seguire quando si prendono delle decisioni. E il programma, chi lo scrive? Chi detiene il marchio del M5S? Grillo è l'unico proprietario del copyright oppure il primus inter pares? Al momento c'è solo uno statuto – pardon, il «non-statuto», come sta scritto sul sito del M5S. A malapena tre pagine. Lì si dice che la «sede» del movimento è il blog www.beppegrillo. E' «nell'ambito del blog» che avviene «l’individuazione, selezione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociale, culturale e politica promosse da Beppe Grillo». Il quale, a ben vedere, ha anche il potere di decidere fin quando il movimento vivrà. Il M5S, in quanto “non-associazione”, «non ha una durata prestabilita». Se un qualsiasi partito scrivesse queste cose nel proprio statuto si solleverebbe un vespaio. «Il Movimento 5 stelle – si legge ancora – non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro. Esso vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi». E qui sta il problema.
Basta trasferire la sede di un movimento politico sul web per non incappare nella trappola della delega? Il M5S offre davvero un «efficiente ed efficace confronto democratico»? I sindaci grillini ci provano ma le prime contraddizioni sono saltate fuori. Alvise Maniero, il sindaco di Mira, ha messo il dito sulla piaga. «Qui decidiamo noi, Grillo ci fa da garante ma le decisioni sono nostre». Per governare le città ci vogliono competenze. Non ci si improvvisa nel ruolo di amministratori. A Parma, come noto, lo staff di Pizzarotti sta vagliando i curricula ricevuti via internet. Un po' come avviene nel casting delle produzioni televisive. Si fanno i provini e si scelgono gli attori. Ma nel caso in questione chi seleziona gli aspiranti assessori? Nei giorni scorsi il sindaco Pizzarotti, alla ricerca di un direttore generale per il comune, si è trovato a dover decidere sul nome di Valentino Tavolazzi che qualche mese fa è stato espulso dal M5S proprio da Grillo. Motivo? L'aver partecipato a una riunione locale non autorizzata. Guarda caso, però, Tavolazzi possiede quell'esperienza amministrativa che tornerebbe comoda al sindaco di Parma. Ebbene, per comunicare la sua scelta Pizzarotti avrebbe chiamato non Grillo, ma Gianroberto Casaleggio, ossia il capo della Casaleggio Associati, ossia la società di marketing e comunicazione che gestisce l'immagine di Grillo e del M5S. Chi è Gianroberto Casaleggio? Su di lui è già stato scritto sui giornali. È definito il guru, l'eminenza grigia, colui che tira le fila di tutto il movimento. Al suo cospetto Grillo sarebbe soltanto il frontman, quello che ci mette la faccia e il mestiere. Ma le idee no, quelle le metterebbe Gianroberto Casaleggio. E lui, il guru, avrebbe messo il veto sulla nomina di Tavolazzi a Parma. Ci si chiede, allora, chi comanda nel M5S?

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