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di Romina Velchi
È oggi il giorno della verità, quello in cui il governo dovrà scoprire le carte sulla cosiddetta spending review, ovvero il decreto che deve tagliare la spesa pubblica per evitare l'aumento di due punti dell'Iva così come deciso dal precedente governo Berlusconi. Una spada di Damocle che avrebbe solo l'effetto di affondare ancor di più i consumi e quindi bloccare ulteriormente crescita e sviluppo.
Ma, come si dice, le vie dell'inferno sono lastricate di buoni propositi e c'è il serio rischio che la spending review si riduca ad una mera operazione di tagli, per di più lineari, cioè uguali per tutti nel settore della pubblica amministrazione e della sanità, con conseguenti ricadute sui cittadini in termini di servizi tagliati e aumento di costi. Sennò perché, per esempio, il governo ha deciso di rinviare il tetto alle pensioni d'oro di dirigenti pubblici e grand commis di stato; non sarebbe quella un'ottima spending review?
Un testo definitivo ancora non c'è, ma oggi il governo incontra i sindacati e gli amministratori locali ai quali dovrà illustrare, almeno a grandi linee, come intende rivedere la spesa pubblica. E dimostrare che la spending review non è l'ennesimo taglio ai danni dei soliti noti. Ieri è stato un susseguirsi di incontri istruttori tra il premier Monti e i ministri interessati in vista degli appuntamenti di oggi. Nelle intenzioni del governo, il provvedimento dovrebbe essere varato dal Consiglio dei ministri tra giovedì pomeriggio e venerdì mattina (dunque, non c'è spazio per le osservazioni di sindacati, partiti e enti locali): tra le ipotesi, c'è quella di partire con un provvedimento più "leggero" comunque sufficiente a raggiungere la cifra necessaria a bloccare l'aumento dell'iva (4,2 miliardi), mentre un provvedimento successivo porterebbe altri 5 miliardi. Due tappe che dovrebbero servire anche a calmare gli animi dei sindacati.
Che in effetti sono piuttosto agitati, viste le indiscrezioni uscite sulla stampa: licenziamento (con mobilità e prepensionamenti) di diecimila dipendenti pubblici, rinvio delle tredicesime, ulteriori tagli alla sanità e agli enti locali. Ce n'è quanto basta per far infuriare i sindacati, compreso Bonanni (Cisl), che è arrivato persino a minacciare lo sciopero generale, mentre la Cgil mette in guardia contro i tagli lineari e chiede, con Camusso, una stretta sulle consulenze.
Preoccupati, comprensibilmente, gli enti locali, che implorano di limitare i tagli a sanità e trasporti, che avrebbero ricadute sui servizi erogati ai cittadini. Per un Fassino, sindaco di Torino, che si augura che la spending review «incida sullo Stato e le sue amministrazioni perché in questi anni gran parte dei tagli sono stati fatti a carico di comuni, province e regioni» c'è un De Magistris (primo cittadino di Napoli) che dice: «Non ci metto un secondo a scendere in piazza», visto che «a furia di tagliare, c'è il rischio che restino solo macerie». Mentre l'Upi (l'Unione delle province italiane) dal canto suo auspica che la spending review non si trasformi «nell'ennesima manovra di tagli alle province e agli enti locali».
Insomma, la riduzione della spesa pubblica, il nuovo capitolo dell'azione del governo, pur chiesta a gran voce come misura per diminuire le tasse, sta arroventando il clima dentro il palazzo (per di più nel giorno in cui l'Istat ha reso noti i nuovi drammatici dati sulla disoccupazione che richiederebbero ben altre misure di crescita e sviluppo). Perché i partiti della strana maggioranza rischiano di ritrovarsi stretti tra nuove misure impopolari (questa volta ci va di mezzo il pubblico impiego, bacino di voti da sempre corteggiato) e sindacati ed enti locali sul piede di guerra. L'Udc il problema non se lo pone neanche, visto che il sostegno a Monti è incondizionato. Pd e Pdl, invece, chiedono di non essere costretti a firmare cambiali in bianco e per esprimere giudizi aspettano di conoscere meglio il provvedimento. Per Bersani sarebbe «inaccettabile» se la spending review andasse a toccare la «risposta sociale». Salvo che, poi, dovrà acconciarsi a votare un'altra fiducia senza poter fare modifiche sostanziali, come già avvenuto per la riforma delle pensioni, la vicenda degli esodati, la riforma del lavoro.
Chi non ha dubbi sulla piega che prenderanno gli avvenimenti sono l'Italia dei Valori e la Federazione della sinistra. «Per l'ennesima volta l'esecutivo si prepara a fare cassa sulla pelle dei lavoratori - attacca Antonio Di Pietro - Tutto questo è un gioco irresponsabile e inutile, perché non si risparmia smantellando lo stato sociale». Per Paolo Ferrero, segretario del Prc, la chiamano spending review «ma in realtà è un'altra stangata che andrà a colpire i pubblici dipendenti, sia riducendo i salari che licenziandone oltre diecimila. Un'altra misura di ingiustizia sociale che aggraverà la crisi». Quindi «ha ragione Bonanni che finalmente propone lo sciopero generale: Monti non lavora per risolvere la crisi ma per scaricarne i costi sui lavoratori e le lavoratrici». «Si tratta di una manovra aggiuntiva - concorda Oliviero Diliberto, segretario del Pdci - fatta di tagli lineari alla sanità». Sanità, ricorda Vera Lamonica (segretario confederale Cgil), sulla quale si sono già abbattuti tagli per 17 miliardi nel prossimo triennio «con quasi tre milierdi di nuovi ticket. Non è accettabile che il governo usi la spending review per ridurre ancora il finanziamento per la sanità».

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