Stefano Galieni intervista Claudio Fava
Con la sua candidatura alla presidenza della Regione Sicilia e con la proposta di una lista della sinistra, aperta e plurale, Claudio Fava sta scompaginando il panorama politico siciliano. Mentre il governo autonomista di Lombardo affonda nei debiti e nelle inchieste, la sua proposta “Libera Sicilia 2012” va raccogliendo adesioni tanto dal mondo della cultura quanto da quello di una società viva e attiva, che non vuole continuare a subire i ricatti del passato. Claudio Fava ne parla con entusiasmo partendo da una analisi implacabile del presente e del buco di bilancio regionale di cui oggi l’intera penisola si è accorta.
«In Sicilia da almeno 20 anni ha prevalso un uso privatistico della politica.. Tutto è stato fondato sulla ricerca e il mantenimento del consenso arrivando a costruire una macchina amministrativa elefantiaca che supera i 145 mila stipendi, in cui sono stati assunti senza che vengano adeguatamente impiegati, oltre 30 mila agenti della forestale. Lo spreco è stato considerato la norma, come non considerare in questa maniera le oltre 200 consulenze private esterne utilizzate in poco tempo. Ora c’è stata la classica levata di scudi ma i bilanci finora sono stati votati pressoché all’unanimità. Dal centro destra, dal partito di D’Alia e dal Pd. Questo perché in un contesto a mio avviso “feudale” ognuno aveva qualcosa da guadagnare, ognuno traeva dal voto un beneficio personale. Ora lascia perplessi sentire un D’Alia che invoca l’azzeramento di tutto e per certi versi ha ragione Lombardo a dire che ora non può certo in nome della spending review licenziare i tanti assunti. Se uno volesse attuare una vera ristrutturazione delle spese e del bilancio in Sicilia dovrebbe partire dal fatto che le persone assunte dalla pubblica amministrazione, come appunto si diceva delle guardie forestali, dovrebbero essere impegnate nella rimessa in sesto del territorio che ne avrebbe bisogno. Poi vanno interrotte tutte le consulenze esterne e iniziare con una riduzione del danno».
Lombardo in maniera molto dura ha affermato che per quanto lo riguarda non vuole lo spostamento delle elezioni al prossimo anno perché si tradurrebbero nel barattare un ministero con il governo dell’isola
«Lombardo compie due errori, uno in buona e uno in cattiva fede. La scelta dei presidenti ormai non è più un baratto che si decide a Roma. Sta crescendo in tutto il Paese e molto anche in Sicilia (non solo a Palermo o a Barcellona Pozzo di Gotto) un senso diffuso di responsabilità. Lombardo non si accorge che è cominciata la terza repubblica in cui i cittadini siciliani vogliono decidere per conto proprio. Questo è l’errore in buona fede, in mala fede invece opera un tentativo strumentale perché non vuole ammettere il fallimento del proprio governo. Dimentica poi di essere stato rinviato a giudizio per contiguità con la mafia, una ragione che da sola dovrebbe portare alle dimissioni. Grave anche la scelta del Pd che definisce il governo Lombardo come una esperienza che aveva compiuto scelte coraggiose e riformiste. Io questo coraggio e queste riforme non sono riuscito a coglierli, mi sono sfuggite».
Occorrerebbe, malgrado la soglia di sbarramento e le frammentazioni, la presenza di una forte sinistra nel prossimo consiglio regionale.
«C’è la possibilità di avere nella prossima Assemblea regionale siciliana una sinistra sostanziosa. Ma ci sono anche le possibilità della sinistra di aspirare a governare la Regione. La mia non è e non vuole essere una candidatura di bandiera, oggi è possibile cambiare radicalmente i rapporti di forza perché sono saltate le cerniere che mantenevano in piedi taluni equilibri. Non si riesce a mantenere il collante del governo perché non si possono distribuire favori a tutti. Ma si badi che io non sto proponendo una coalizione onnicomprensiva. Il Pd ha mantenuto un rapporto con Lombardo da cui esce contorto e logorato, ha assunto il governo come valore a se, ha praticato soluzioni da milazzismo che cominciano ad essere sconfitte dai siciliani. Alla destra manca una proposta forte, c’è stato il fallimento di una stagione di governo. Oggi accade qualcosa che forse non è mai accaduto nella vicenda siciliana, la sinistra può tornare ad essere forza politica determinante. Siamo in condizione di essere legittimati, ma il presupposto è la coerenza, possiamo rappresentare una reale alternativa. Per farlo non dobbiamo tracciare perimetri virtuali ma una discriminante col passato e con chi ha anche utilizzato lo spirito autonomistico per dargli forza. Si tratta di voltare realmente pagina».
Una sinistra che non si ferma ai soggetti politici esistenti?
«A me più dei traccheggiamenti del Pd interessa la militanza diffusa, spesso non di partito, i tanti comitati per il territorio e l’ambiente, quelli antimafia e associazioni come Libera. Certo dobbiamo superare la tendenza che ci domina che è quella alla frammentazione identitaria. Quella che ci porta, soprattutto in Sicilia, da tanto tempo, a dividerci nei territori, nelle singole campagne, sui temi, con una parcellizzazione terribile e che alla fine ci ha ridotto spesso a svolgere soprattutto un ruolo di testimonianza ma a non riuscire ad incidere. Invece va ristabilita la logica della contaminazione reciproca, a non creare presidi isolati ma a lavorare ad una vera e propria rialfabetizzazione della politica. Si tratta di spiegare e ascoltare in continuazione, non è facile ma una sinistra che cerca senso deve avere il coraggio di andare in mare aperto, deve togliere l’ancora e lasciare il porto».
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