di Carmine Fotia

Antonio Ingroia come candidato di una coalizione alternativa per la guida della Sicilia appartiene più al campo dei sogni che delle ipotesi politiche. Personalmente ne sarei felice, ma non credo che in questo momento potrebbe accettare, troppo vicina la sua esperienza alla Procura di Palermo.
Tuttavia in politica capita che ciò che appare come un sogno possa comunque ispirare scelte e comportamenti. Allora, più che a Ingroia come persona occorre riferirsi al valore simbolico della sua persona.


Nel caso siciliano esso risiede nella necessità impellente di una candidatura in grado di incarnare una rottura radicale con un sistema di potere paludoso e di produrre un effetto simile a quello della candidatura di Orlando a Palermo.

E non è affatto detto che il nome non possa essere quello di Claudio Fava, purché egli accentui il valore di rottura della sua candidatura non solo per la Sicilia ma anche per la politica nazionale.
Partiamo dalla Sicilia: qui parlare di centrosinistra o di alleanza progressista è totalmente privo di senso perché in Sicilia il Pd è stato parte integrante del sistema di potere lombardiano e oggi dà vita a un'alleanza che comprende sia gli alleati di Lombardo (Pd e Fli) che gli eredi di Cuffaro (l'Udc) e il cui slogan sembra essere scritto da Cetto Laqualunque: «Al governo con chiunque e comunque». Del candidato, Rosario Crocetta, sarebbe meglio non parlare, per rispetto delle sue battaglie passate: di lui resterà ai posteri l'idea di conquistare i moderati offrendo la propria astinenza sessuale, quasi a voler "redimere" la propria identità gay. Folklore puro.
Sarebbe sbagliato invece sottovalutare il candidato di un ricompattato centrodestra: Nello Musumeci che incarna una destra radicale fuori dal sistema di potere e che, se l'offerta politica del centrosinistra è quella testè descritta, può anche pescare nel suo elettorato.
Dunque, se non si vuole consegnare a un centrodestra post berlusconiano la Sicilia, occorre costruire un'alternativa alla bancarotta prodotta da un governo appoggiato dal Pd; occorre, esattamente come avvenne a Palermo, una candidatura che sappia parlare direttamente alla società e agli elettori, saltando i partiti siciliani che sono pure macchine di potere, oligarchie senz'anima. Un'alleanza tra cittadini per salvare una Sicilia che altrimenti rischia di diventare una bomba sociale, con una disperazione che può essere terreno di reclutamento per una mafia pronta ad agire anche sul piano politico.
Un compito difficilissimo, ma Fava non può proporsi meno di questo, anche perché gli elettori siciliani sembrano apprezzarlo proprio per questo proporsi fuori dagli schemi consolidati.
Sul piano politico generale non va dimenticato che le elezioni siciliane, a meno che non si voti in autunno per il parlamento nazionale saranno l'ultima prova prima delle elezioni politiche. E resterebbe assai difficile spiegare un'alleanza nazionale di Sel con Pd-Udc quando proprio contro di essa si costruisce una candidatura alternativa in Sicilia. È evidente che il principale potenziale alleato di Fava in questa coalizione alternativa, e cioè l'Idv di Orlando, si aspetta che su questo Fava prenda una posizione chiara.
La Sicilia, dunque, si ripropone come laboratorio della politica nazionale, lo fu con il milazzismo, con il centrosinistra e con il compromesso storico. Oggi qui potrebbero delinearsi nuovi schieramenti: il centrodestra del dopo Berlusconi, il patto Pd-Udc, la coalizione dei non-allineati. La Sicilia come prova generale della terza repubblica?

 

da il manifesto

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