di  red.

Gilet catarifrangente e borsa zeppa di raccomandate a tracolla. Per anni sono andati in giro così, con una scritta sulla schiena: “Stiamo consegnando corrispondenza per conto di Poste italiane”, ovvero “non siamo postini”. Sono i lavoratori degli appalti postali e il loro posto è a rischio, perché Poste italiane da luglio 2012 ha cominciato a “razionalizzare” e “reinternalizzare”. “Razionalizzazione” che tocca da vicino duemila “non-postini”.

C’è chi da marzo non riceve lo stipendio, chi è già in cassa integrazione e chi ha i giorni contati per entrarci. “Siamo a rischio estinzione”, hanno denunciato più volte nei loro appelli su internet e durante lo sciopero nazionale indetto il 2 luglio scorso dalla Cgil. Hanno aperto anche un blog: si fanno chiamare “truppe d’appalto”.

Riccardo Tronci è uno di loro, un «quasi laureato in lettere che ha mollato a un passo dalla laurea», come si definisce lui stesso. Lavorava per Transystem, società partner di Poste italiane. Poi è arrivata la decisione dall’alto di tagliare.

Racconta: «Nell’ultimo appalto in cui abbiamo lavorato (giugno 2008-giugno 2012) erano messi in gara 91 lotti, mentre nel 2012 sono stati espletati appena 41 lotti, con carico di lavoro e fatturato diminuiti del 50% circa. Questo ha significato la perdita del lavoro per circa 2000 persone».

È dal 1999 che Poste italiane ha deciso di affidare a società esterne alcuni servizi: all’epoca l’amministratore delegato della società era l’attuale ministro dello Sviluppo Corrado Passera.

Tronci spiega che a tredici anni di distanza il mondo dei lavoratori d’appalto oggi funziona così: «Si svolge, ad oggi, su tre binari: ci sono quelli che lavorano e lavoreranno in futuro con le nuove gare, una volta assegnate; ci sono i lavoratori che manterranno il posto di lavoro sino a scadenza proroga (alcuni lotti in attesa di assegnazione sono stati prorogati), e quelli che come me sono già in cassa integrazione. Il carico di lavoro che era addossato sulle nostre spalle verrà redistribuito sui dipendenti di Poste Italiane, generando prevedibilmente una spirale negativa nell’aspetto qualitativo del servizio. Il fatto assurdo è che noi perderemo il posto di lavoro nonostante una certificazione molto positiva da parte degli ispettori di Poste Italiane».

La rabbia di Riccardo è quella di altri padri, madri, colleghi in tutta Italia che lavoravano o stanno per lasciare il posto nelle sedi di tutta Italia, di Transystem e di tutte le altre agenzie partner di Poste per il trasporto della corrispondenza, da Trieste a Napoli passando per Roma e Pistoia.

Un lavoratore di Avellino in una lettera pubblicata sul blog “Truppe d’appalto” racconta:

«Da marzo le Poste hanno congelato i pagamenti alla società, che come proposta risolutiva della vertenza ha dato solo che noi rinunciassimo al pregresso, pagassimo le spese legali e accettassimo i contratti di solidarietà. Ovviamente questo non era pensabile, sicché da marzo niente più soldi, né si riescono a sbloccare i fondi congelati dall’ente Poste».

E se Poste taglia, la politica risponde a singhiozzi. Tronci spiega: «Sono state presentate alcune interrogazioni parlamentari (che aspettano risposta) e due risoluzioni parlamentari in commissione trasporti (a nome dell’onorevole Velo una, e a nome dell’onorevole Monai l’altra) che se approvate impegnerebbero il governo a delineare una soluzione differente da quella unilaterale di Poste. Ad oggi, senza un vero motivo, nessuna delle due risoluzioni è stata calendarizzata».

 

da Pubblico giornale.it

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