di Maria R. Calderoni
Il fenomeno è grave ma non serio. Piovono cani e gatti, c'è la moria dei presidenti provinciali, lasciano, si disfano, fanno una cosa sino a qui incredibile, impensabile: "si dimettono". Le avete viste le ultime cronache? Il presidente della Provincia di Asti, che si chiama Maria Teresa Armosino, Pdl, ha dichiarato di dimettersi, indignada per il taglio del numero delle Province (dovrebbero passare da 110 a 54) e per la riduzione dei fondi: <Me ne vado perché non sarebbe più possibile far valere le ragioni del territorio>, cuore di mamma.
Lascia, anche lui indignado, il presidente della Provincia di Napoli che si chiama Luigi Cesaro (Pdl, vecchia conoscenza in materia di scandalo-rifiuti in Campania): <Con i tagli previsti dalla spending review, addio governabilità>. E lo imita Roberto Simonetti, Provincia di Biella; seguito a Milano da Guido Podestà, Pdl, che al mattino annuncia le dimissioni per le stesse ragioni - <è ormai impossibile governare> - e però al pomeriggio le ritira (per il momento).
Fuggi fuggi. Ha lasciato il presidente di Salerno, Edmondo Cirielli, Pdl, (si è addirittura fatto dichiarare incompatibile dal Consiglio). E via pure quelli di Rieti e di Nuoro (e pure il sindaco nonché senatore di Afragola, Enzo Nespoli).
Ha piantato baracca e burattini anche il sindaco di Avellino, Giuseppe Galasso, Pd, che però ha dichiarato candidamente: <Lascio perchè voglio candidarmi alle politiche>.
Santo cielo, ecco svelato l'arcano! Tranquilli, non c'è nessun morbo misterioso che miete vittime tra gli scranni delle Province italiane; e le nobili quanto disinteressate dipartite forse non nascono propriamente dalla protesta contro i iagli e dall'ansia spasmodica di non poter più governare "così bene" come una volta. Ma no. Lo ha svelato papale papale il bravo sindaco di Avellino: per colpa della legge che ha sancito l'incompatibilità tra la carica di presidente di Provincia e quella di parlamentare, scadono i termini - dieci giorni - per potersi presentare alle elezioni politiche, o adesso o mai più...
Per la serie, toglietemi tutto ma non la mia poltrona. Naturalmente, non lo fo per amor mio ma per dare figli a dio; insomma, è evidente, quella sedia in Parlamento la si vuole non per sé, ma per guidare il paese, migliorare la nazione, servire il popolo, curare gli infermi. Dare la propria disponibilità, il proprio alto impegno civile, come si dice.
Sentite tale Renata Polverini. Testé intervistata alla grande, risponde serena, contenta di sé, sorriso sulle labbra: con la Regione Lazio vabbé ha chiuso, ma lei non va certo a casa, né tampoco, non sia detto, a lavorare. <No, io resto qua, resto a disposizione. Caso mai serva una mano per un governo Monti bis...>, vai a vedere.
Neanche a cannonate. Restano infatti sempre tutti lì "a disposizione", sempre per il Bene Pubblico - per noi, insomma - anche i Formigoni, i Mastella, gli Scaiola, le Nicole Minetti, le Rosi Mauro, i Penati, i Denis Verdini, i Lombardo, eccetera eccetera.
fateci caso. Da quanto tempo si parla di dare un sacrosanto taglio al numero dei deputati e senatori? Fateci caso, sempre più di mille restano (con buona probabilità di restare tali, almeno fino a quando, chissà mai, sarà addirittura appositamente modificata la Costituzione medesima, mica facile).
In nome del Popolo italiano, la poltrona non si molla mai.