di Tonino Bucci

Il centrosinistra fotografato a Vasto oltre un anno fa è un'immagine sbiadita. Quella era un'altra epoca. Poi sono arrivati Monti e il governo dei tecnici e tutto è cambiato. L'alleanza Pd-Sel-Idv è ormai una formula senza identità politica. Troppe le incognite. Che margini di manovra avrebbe un futuro governo di “centrosinistra” rispetto alla camicia di forza dei vincoli europei? Tanto per dirne una, il fiscal compact deciso dai vertici dell'Ue (e ratificato dal parlamento italiano) impone ai paesi indebitati come l'Italia un taglio di 40 miliardi l'anno, euro più, euro meno.

Con un piano così drastico non è difficile prevedere una spirale recessiva dei consumi e l'inibizione di qualunque crescita. E che identità avrebbe mai un governo di centrosinistra nato su questi presupposti, che non potesse attuare uno straccio di politica anticiclica e di redistribuzione? Delle tre gambe del centrosinistra non c'è nessuna - chi più, chi meno - che non covi in pancia malumori e dissensi sulle scelte future. L'Idv è tra i partiti più inquieti e incerti sulle alleanze da stringere alle prossime elezioni. L'asse del futuro governo non è scontato. E non solo perché dietro l'angolo c'è il matrimonio tra il partito democratico e Casini - che per Di Pietro è come il fumo agli occhi. Il centrosinistra, politicamente parlando, è un prodotto di fantasia, una sorta di animale mitologico. Il partito di Bersani non si smarca dalle ricette del montismo e, nonostante sia anch'esso attraversato da un dibattito interno, è intenzionato a proseguire sulla strada intrapresa da Monti anche per il futuro. «A Bersani, che io rispetto anche perché ci ho lavorato fianco a fianco nel governo Prodi e so che persona è - ha scritto Antonio Di Pietro pochi giorni fa sul suo blog -  dico molto chiaramente che l’Idv non ha condiviso e non condivide il sostegno al governo Monti, non per antipatia nei confronti di Monti ma perché Monti cerca di far quadrare i conti fregandosene di chi paga, e a pagare sono sempre i più deboli. Noi questo non lo possiamo approvare perché non è giusto e come si vede dai risultati non è nemmeno utile». «La verità è che vorrebbero fare a meno di noi perché noi non vogliamo assecondare il coro di quelli che dicono “Evviva Monti”». Discorso chiuso? Neanche per niente. Il giudizio su Monti è il macigno più grande nei rapporti dell'Idv con il Pd. Certo, il programma di quello che dovrebbe essere il futuro centrosinistra di governo non è una questione politica marginale. 
«Quasi quasi - scrive sul proprio blog uno dei colonnelli del partito, il capogruppo al Senato Felice Belisario - rimpiango le 300 pagine del programma dell’Unione tanto derise dagli esponenti del centrodestra. E le rammenterei anche a parecchi amici che si riconoscono, almeno a parole, nel centrosinistra. Perché a guardare ora la scena politica mi rendo conto che si fa un gran parlare di tutto e contro tutti, ma nessuno  si pronuncia su cosa vuole fare e come intende farlo». Di Pietro, però, è un leader navigato e lascia aperte tutte le strade. Alterna le randellate al Pd con gli appelli all'unità. «Adesso bisogna pensare al futuro e per il futuro, secondo l’Italia dei Valori, bisogna costruire una coalizione partendo solo ed esclusivamente dai contenuti. Noi abbiamo presentato due referendum sul lavoro: uno per ripristinare l’art.18 cancellato dalla Fornero, uno per abrogare l’art.8 con cui Berlusconi ha cancellato il contratto nazionale e sottoposto i lavoratori alla legge del più forte e della giungla. Chi è d’accordo con noi e vuole una strada diversa rispetto a quella ingiusta seguita da Monti, deve dirlo apertamente e poi adottare comportamenti coerenti». 
E se invece il Pd finisse per abbracciare la linea Monti anche per il futuro? Non dimentichiamoci che all'interno del partito di Bersani è in corso una partita - anche quella - dagli esiti incerti. Al momento la scena delle primarie (di coalizione o di partito, chissà) è occupata dal “rottamatore" Renzi. Se dovesse vincere lui - parole sempre di Di Pietro, dette in un'intervista recente - «non esisterebbe più il Pd, figuratevi se può esistere una coalizione». Il leader dell'Idv, nello scenario di un partito democratico sotto l'egida di Renzi, arriva persino a profilare uno schieramento inedito. A quel punto «l'Italia dei Valori si trasforma nell'Italia dei Lavori e dà vita a un polo alternativo, nella forma dettata dalla soglia di sbarramento e dal sistema con cui si assegna il premio, coalizione o listone». Sembra un'ipotesi di fantapolitica, ma al momento tutto può essere. In questo polo alternativo troverebbero una casa tutte le forze di opposizione al governo Monti. Una vera e propria rivoluzione nello scenario politico italiano. 
Però c'è l'incognita della legge elettorale. «Sempre più spesso - scrive Di Pietro sempre sul proprio blog - la gente mi chiede cosa farà l’Italia dei Valori e cosa farò io personalmente in queste primarie, che ancora non si capisce bene se resteranno del Pd, come sono adesso, o se diventeranno di coalizione. Ma io come faccio a sapere se e come giocherò in una partita quando ancora non si conoscono le regole del gioco? Cosa competo a fare per diventare il candidato premier se c’è una legge elettorale che cancella i candidati premier? Che senso avrebbe fare le primarie mettendo insieme più partiti se poi uscisse fuori una legge elettorale che impedisce di andare insieme anche alle elezioni oltre che alle primarie?» Il partito è in subbuglio. L'Idv di oggi - finita l'epoca della contrapposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo - è in cerca di una collocazione. Un partito nato anomalo, sull'onda della crisi della prima repubblica e per iniziativa del magistrato eroe per antonomasia di Mani Pulite, finito un po' per caso, un po' per calcolo, a occupare uno spazio politico a sinistra - specie dopo l'uscita di Rifondazione comunista dal parlamento. Al suo interno c'è chi fa appello all'intransigenza, alla faccia pulita della politica, alla lotta alla corruzione, persino all'opposizione sociale al governo Monti. La presentazione dei due referendum sul lavoro assieme a Sel e Fds rappresentano già un laboratorio di alleanze e di contenuti alternativi al Pd. Ma nell'Idv c'è anche chi, alle ragioni dell'identità, antepone il timore di rimanere isolato, tagliato fuori dall'alleanza di governo del centrosinistra. Non è che tutti, nel partito di Di Pietro, vadano d'amore e d'accordo. Massimo Donadi, per esempio, capogruppo dell'Idv alla Camera, ha annunciato il suo appoggio a Bersani nel caso in cui il suo partito non dovesse partecipare alle primarie. «Capisco che sul Pd qualcuno possa storcere il naso, ma senza Pd al governo non ci si va», scrive sul proprio blog. «E non parlatemi di Grillo (ormai lo avrete capito): se da una parte ho massimo rispetto per i suoi elettori, dall'altra penso che sarà una colossale fregatura per l'Italia e gli italiani perché incapace di governare. Ritengo quella tra Idv, Pd e Sel un’ottima alleanza e anche l'unica alleanza possibile per ridare speranza all’Italia». Donadi, che qualche tempo fa aveva annunciato scelte drastiche se Di Pietro avesse continuato nella contrapposizione con il Pd, non vede alternative all'alleanza di governo con il partito di Bersani. «Deve essere chiaro che se questa alleanza non nasce o nasce monca perché Idv vi si sottrae, non vinceranno altre forze di centro sinistra, ma si spalancherebbero le porte al Monti Bis, o a soluzioni addirittura peggiori. Dobbiamo intenderci su questo: se il Monti bis è la prospettiva che vogliamo scongiurare a tutti i costi, chi mi critica dovrebbe spiegarmi quale governo, quale diversa maggioranza e quali diversi partiti si possono mettere in piedi se non con il Pd per superare almeno il 40% dei voti e quindi governare il Paese». 
Basterà la leadership di Di Pietro per ricompattare il partito? Se non bastasse, in questi giorni il partito è incappato nello scandalo del segretario regionale e capogruppo dell'Idv nel Lazio, Vincenzo Salvatore Maruccio. Il quale, secondo l'accusa dei magistrati, avrebbe sparso su dieci conti correnti circa 780mila euro, sottratti alle casse del suo partito in Regione. Maruccio si è dimesso da ogni incarico, compreso quello di consigliere regionale. Ma si tratta in ogni caso di un duro colpo per un partito che dell'onestà e della questione morale ha da sempre fatto un cavallo di battaglia. Non è la prima volta che il personale politico dell'Idv dà pessime prove di coerenza. Il più eclatante dei casi è quello di Domenico Scilipoti, deputato eletto nelle sue file che decise di sostenere il governo Berlusconi. Nel migliore dei casi, è il segno che qualcosa non funziona nel modo di scegliere i candidati. «Le dimissioni di Maruccio  - dice Massimo Donadi - sono un buon segnale, ma non bastano. Essere portatori di una diversità sulla questione morale non significa essere immuni dalla possibilità di errori dei singoli, bensì dimostrare, con la tempestività e la radicalità con le quali si interviene per rimuovere ogni ombra di sospetto o di abuso, che gli errori non sono tollerati. Per questa ragione credo che le nostre decisioni debbano andare ben oltre l’accettazione delle dimissioni di Maruccio e sia necessario chiedere ai gruppi parlamentari e regionali la pubblicità e la totale trasparenza dei bilanci. Per prevenire al massimo la possibilità di errori nelle scelte, infine, sono opportune regole di maggiore collegialità nella definizione di incarichi e candidature». Ancora più drastico Felice Belisario: «Ora basta!. Il mio partito, il nostro partito, deve fare piazza pulita. Non possiamo aspettare le eventuali ispezioni della guardia di finanza e le decisioni dei pm di turno. E’ il momento di fare pulizia in casa nostra. Sono convinto dell’onestà e della buona fede di tutti   nostri vertici regionali e provinciali, ma l’Idv ha il dovere di controllare come vengono spesi i soldi che lo stato e le Regioni, attraverso il finanziamento pubblico, erogano ai gruppi, a ogni livello».

 

da Contro la crisi.org

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