di Roberto Musacchio

Come accadde nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, anche questa campagna elettorale ha tutte le caratteristiche per essere una sorta di vera e propria Costituente di quella che possiamo definire la Terza Repubblica o la Prima dell’era dell’Europa post compromesso sociale. Allora fu Berlusconi a cambiare le carte in tavola e a costruire apparentemente in poco tempo, ma in realtà con materiali accumulati nel tempo, quella forza che ha caratterizzato il cosiddetto bipolarismo italiano. Ora è Monti che prova a sparigliare ma, probabilmente, non riuscirà nella stessa impresa che vide il Cavaliere divenire il più votato nel giro di una sola competizione alle urne.

In realtà infatti la mossa più significativa in questo avvio di posizionamento l’ha fatta Bersani. E l’ha fatta non a caso proprio sul terreno della collocazione europea che e’ il vero dominus. Prima ha posto al centro della carta d’intenti delle primarie l’accettazione dei Trattati, e cioe’ del Fiscal Compact, chiedendo addirittura una sottoscrizione popolare e plebiscitaria del vincolo esterno. Poi si e’ espresso in varie interviste alla stampa estera a sottolineare questa natura della sua coalizione di governo.

Ma poi con l’intervista al Financial Times ha fatto un ulteriore salto di qualità schierandosi sul punto più caldo delle decisioni da assumere in Europa e cioè la realizzazione del super commissario al controllo dei bilanci nazionali. Bersani si e’ detto d’accordo e cosi’ facendo ha immesso un nuovo tassello, decisivo, nel suo profilo. La proposta del super commissario era stata infatti avanzata da un ministro della Merkel, il super conservatore Schauble. Aveva preso in contropiede  il Presidente francese Hollande che aveva lanciato un’offensiva mediatica, con interviste rilasciate a 5 grandi giornali europei, per rilanciare la proposta classica dei socialisti europei di una più forte integrazione dei Paesi dell’area euro.

Schauble aveva parlato in Parlamento tedesco per dire che si ci vuole più integrazione ma che questa si fa a partire da una maggiore rigidità sulle politiche di austerità che vanno imposte con il super commissario con potere di veto sui bilanci nazionali. Si era creata anche un poco di suspense sulla copertura da parte della Merkel di tale proposta. Poi era arrivata la investitura solenne della Cancelliera e ad Hollande non era rimasta che la strada di una precipitosa ritirata di fatto bloccando al Consiglio Europeo la proposta tedesca.

Proposta tedesca che invece riceveva l’avallo della Spd e che ora ottiene il via libera di Bersani. Questa mossa, solo apparentemente specialistica, in realtà la dice lunga su quale sia lo stato dell’arte del socialismo europeo oggi e cioè quello di una generale subalternità al quadro dominante in Europa e per giunta con divisioni profonde in base alle collocazioni nazionali. E dice che la coalizione del PD sceglie di stare dentro il quadro tedesco.

Stare dentro il quadro tedesco significa in realtà optare per quella che in Germania e’ nei fatti una grande coalizione sostanziale e, a volte, anche formale come potrebbe realizzarsi nuovamente dopo le prossime elezioni tra Cdu e Spd. Significa puntare su una cointeressenza dei due Paesi ad una comune evoluzione dell’Europa fin qui clamorosamente smentita da tutte le scelte delle classi dirigenti di quel Paese che sono uno degli architravi dell’attuale Europa monetaristica e tecnocratica.

Pensare poi di trasferire la cosiddetta concertazione germanica in Italia vuol dire da un lato non vedere come essa sia ormai trasformata in un vero patto corporativo ai danni dei più deboli, in Europa e in Germania stessa. E dall’altro non vedere che la struttura produttiva e sociale italiana, a partire dall’enorme differenza di grandezza media delle imprese, non consente aggiustamenti concertativi e settoriali se non con la perdita di quei capisaldi contrattuali che hanno consentito le conquiste sociali nel nostro Paese.

Per giunta pensare che si potranno accrescere le dimensioni produttive nel nostro Paese a valle della vera e propria guerra mercantilistica in corso in Europa, con lo strapotere del capitale finanziario e le politiche di austerità imposta e’ pura velleità.

Sta di fatto pero’ che la determinazione con cui il PD ha scelto la real politik europea, accompagnando cioè la nostra integrazione subalterna nell’attuale quadro di dominio, compresa la dominanza tedesca, e’ la carta che  gli fa occupare con forza la pole position verso il governo. Del resto anche la bocciatura della super tassa, oltre al crollo del consenso, dicono che l’esempio di Hollande va bene per i comizi ma non per governare.

In realtà, a valle della austerità, lo spazio per politiche cosiddette eque e’ sostanzialmente pura declamazione, questa e’ la dura verità. E qui arriva Monti e la sua agenda. Che poi altro non e’ che l’adattamento italiano di quelle cose che l’allora Commissario Europeo alla concorrenza scrisse nel suo Libro Verde sulla riforma del welfare. E cioè sulla fuoriuscita da quel modello sociale europeo che Mario Draghi ha detto essere il vero obiettivo delle politiche di austerità. Diciamo insomma che tra il PD e Monti c’è una divisione dei ruoli. Il PD indica la collocazione generale del Governo futuro e Monti esplicita le conseguenze sociali di quella collocazione. Come in tutta Europa poi c’ e’ una sorta di competizione nella rappresentanza di questa politica ma dentro una sostanziale grande coalizione politica, che poi spesso e’ l’altra faccia del piccolo consenso sociale.

La novità italiana di questa fase è che il dispiegarsi di essa sta disarticolando il vecchio bipolarismo e ridefinendo una sorta di multipolarismo nuovo. La cosa che per altro colpisce è che il partito più tedesco, il PD, prenda tutto dalla Germania ma non abbia voluto prendere il sistema elettorale. Il che la dice lunga sulla fragilità che in realtà il PD avverte per la sua politica e che lo porta a scelte di autotrinceramento, di contrasto alla complessità.

In fondo se non c’e più il centrosinistra, sostituito dalla coalizione PD, e’ anche perché l’autorevolezza, o l’autoritarismo, del quadro di comando e’ il connotato decisivo che il PD propone di sé per essere scelto a governare. E infatti il principio di scelta a maggioranza stravolge qualsiasi idea di coalizione, che era stata fondativa del centrosinistra.

Ma non si accede neanche al riconoscimento del multipolarismo, che ad esempio in Germania c’e'  con l’esistenza di Linke e Gruenen, perché nei fatti ritenuto una sorta di lusso che i tedeschi si possono permettere ma l’Italia no. Dunque, per quel che si può, subordinazione o resa all’impotenza.

D’altro canto però la ri-articolazione multipolare avviene sul lato delle forze conservatrici, con una parte di borghesia, quella berlusconiana da un verso e quella leghista da un’altro, che provano a resistere al nuovo ordine. Mentre le forze cattoliche del centro montiano lo reinterpretano secondo la propria filiera di sussidiarismo familistico e confessionale sostitutivo del welfare.

Sta di fatto che questo processo di rottura del bipolarismo della Seconda Repubblica è diventato un elemento reale dentro il quadro di imposizione di dominio che discende dalla fase europea. Ed apre una fase nuova anche a sinistra. Quando poco più di un anno fa il gruppo di intellettuali che lanciava il soggetto politico nuovo collocava la sua riflessione sul bisogno di una democrazia di cittadinanza nel contesto di una critica radicale di questa Europa e dei due poli che la sostenevano, erano in pochi a pensare che si sarebbe potuta riaprire la possibilità di una collocazione autonoma dal PD una volta che Sel si consegnava alla coalizione da esso disegnata.

Sta di fatto che ciò invece si e’ determinato. Ed e’ una cosa comunque importante. Naturalmente nel mentre vedo realizzarsi uno scenario che avevo immaginato, sono molto colpito dalle contraddizioni che si aprono, e che rischiano di penalizzarci fortemente nella qualità delle soggettività che quello spazio potrebbero far vivere. Contraddizioni da parte di chi forse ancora non ha maturato bene il perché la strada su cui aveva puntato, e cioè l’iscriversi alla coalizione del PD come se fosse ancora il vecchio centrosinistra, al punto da partecipare a quelle primarie che, purtroppo, avallavano il Fiscal Compact, si è dimostrata velleitaria e magari pensa ancora che ciò che stiamo vivendo sia transitorio o tattico. E contraddizioni da chi non coglie come la rigenerazione democratica e civica sia  un elemento decisivo della ricostruzione di una nuova soggettività antagonista.

Antagonista a questo ordine europeo ma anche a questo ordine italiano che ha visto poteri e nomenclature traghettarsi dalla Prima alla Terza Repubblica rendendosi disponibili a rompere i compromessi sociali progressivi assai più che i patti scellerati che hanno gravato e gravano sulla nostra storia. Per questo il terreno di costruzione di Rivoluzione Civile mi era apparso praticabile nel complesso dei suoi apporti. A patto di metterci uno spirito costituente adeguato alla fase che viviamo.

Ciò che sta accadendo mi parla appunto di contraddizioni che possono ridurre, anche molto, la portata del progetto. Ma io vorrei che le affrontassimo con onestà intellettuale e senso di responsabilità, provando a fare il meglio ma evitando di gettare il tutto, magari anche con passi indietro che dicano che non siamo di fronte a quello che volevamo, ma provando a guardare comunque al futuro. Cioè quello che non abbiamo fatto con quella Sinistra Arcobaleno che a volte mi fa ormai pensare a Malussen, il capro espiatorio dei libri di Pennac.

da Cambia il mondo.org

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