Relazione per l’ottavo Congresso del Prc del Lazio
16/17-giugno- 2012

Siamo dentro una crisi che sembra senza vie d’uscita, per il sistema che l’ha prodotta, e che anche per questo cerca di presentarla come “un dato naturale” nell’immaginario collettivo. In realtà, come diceva Falcone per la mafia, il capitalismo è un prodotto della storia e come tale non può essere eterno. La crisi nasce da precise scelte politiche, al servizio della finanza e dei potentati economici, come riconoscono anche illustri economisti borghesi.
Svolgiamo questo congresso regionale del 2012 in una fase sociale, culturale e politica profondamente cambiate, rispetto a quella di Chianciano, dal quale sembra siano passati anni luce. Appena tre anni or sono, eravamo nell’”era” della seconda repubblica, indiscussa nelle sue forme e contenuti, mentre oggi siamo alla sua crisi e all’apertura di uno scenario che ne configura una terza, certamente non più rassicurante.
Nel Lazio avevamo allora un governo della regione in mano ad un centrosinistra contraddittorio su molte questioni, ma che su alcune riuscivamo a condizionare, almeno prima della scissione, stante la natura del centrosinistra non ancora così compromessa dalla deriva del PD, arrivato fino al sostegno del governo dei banchieri. Già nei confronti della giunta Marrazzo, per la verità, si era consumata una rottura, che a parte l’atteggiamento di totale chiusura, rispetto alla nostra rappresentanza dopo la scissione, era determinata dal progressivo allontanamento dal programma elettorale del presidente e della sua maggioranza, sempre più subordinati ai poteri forti del Lazio. Decisive, per il passaggio all’opposizione del nostro unico consigliere, sono state le vicende legate al tema dei rifiuti, con il via libera all’inceneritore di Albano, ai processi di privatizzazione nella sanità e nei servizi, e da ultimo il grave comportamento di Marrazzo, in occasione della discussione della sua proposta di legge sulla casa, sulla quale abbiamo espresso un giudizio pesantemente negativo e condiviso con i movimenti sul diritto alla casa il presidio alla regione, che la contestava. In quell’occasione si è rivelato anche il volto arrogante e repressivo del Presidente, che è arrivato a chiamare le forze dell’ordine e fatto caricare i manifestanti che pacificamente sostavano nell’area esterna della Pisana, e tra i quali erano presenti molte donne e bambini.
Oggi il carico delle politiche dei governi di destra, compreso quello dei “tecnici”, si somma a quello della giunta Polverini, retriva e dispotica, tutta tesa alla protezione dei poteri forti della nostra regione: i signori del cemento, i mercanti dei rifiuti, della salute, della formazione, il Vaticano, la rendita finanziaria e gruppi del malaffare, che sempre più s’infiltrano in quei settori economici permeabili alle mafie, e che estendono sempre più la loro influenza, colonizzando interi territori. Su questo abbiamo realizzato un interessantissimo convegno regionale, dove sono emersi, con il contributo di associazioni in prima linea contro le mafie, dati e vicende tanto inquietanti quanto documentati. Sarebbe altresì interessante approfondire il ruolo del Vaticano nella nostra regione, ovviamente dal punto di vista economico, con i suoi affari, con le sue rendite e profitti immuni da pressioni fiscali e da controlli sulle condizioni di lavoro di tante/i dipendenti, molto presenti specialmente nelle attività di ricezione. Il giorno che si farà chiarezza su tutto questo sarà come aprire una nuova breccia di Porta Pia.
L’ideologia del contenimento della spesa pubblica, del pareggio di bilancio e Il metodo dei tagli lineari, che stanno devastando lo stato sociale e l’occupazione, sono stati meccanicamente assunti dalla giunta Polverini, infierendo ulteriormente su l’uno e l’altro. Per la natura produttiva della nostra regione, nella quale è rilevante il settore terziario, la perdita di posti di lavoro e la cassa integrazione, insieme a quelli subite dal settore industriale, avanzano in modo esponenziale. Si pensi alla cancellazione da parte della giunta Polverini dei fondi per lo spettacolo, che sostenevano una miriade di attività culturali, spesso spettacoli di qualità, che davano lavoro a migliaia di artisti, che nessuno censisce e nessuno considera come lavoratori, si pensi allo smantellamento dell’industria del cinema collocata a Cinecittà, nota in tutto il mondo e che dovrebbe diventare patrimonio dell’umanità, oltre a proseguire la sua insostituibile funzione di produzione cinematografica. Il mondo della cultura è stato tra i più colpiti nella nostra regione, dove rappresenta, oltre a un valore in sé, il secondo settore produttivo dopo l’edilizia, una specificità di Roma e del Lazio troppo spesso ignorata anche a sinistra.
Siamo ormai ben oltre il 10% di disoccupati verificabili e si diffondono sempre più forme di lavoro precario e al nero, prive di diritti e tutele al punto da configurare il lavoro dipendente del secondo millennio come quello del primo ottocento.
La connessione strettissima, tra condizione dei lavoratori nel settore pubblico e l’accesso ai diritti, mette in discussione non solo la quantità dei servizi erogati, ma anche la loro qualità, come si può ben vedere nei settori dove le riduzioni di personale e le “esternalizzazioni”, funzionali alle privatizzazioni, sono state più consistenti. I tempi di attesa per le prestazioni sanitarie stanno sempre più spostando la domanda dal pubblico al privato, il mercato entra in settori dai quali era escluso, siamo all’americanizzazione, e alla disgrazia di ammalarsi si aggiunge quella di non potersi curare.
Proprio mentre la crisi iniziava questo processo di accelerazione, ci siamo trovati dentro una scissione che, non solo a livello regionale ci ha fatto perdere due assessori e quattro consiglieri su cinque, oltre a un numero considerevole di consiglieri e assessori comunali e provinciali, sparsi per tutta la regione, ma ha decapitato nel gruppo dirigente sei federazioni su otto, con conseguenze pesantissime sul terreno economico, degli iscritti, della militanza. Si trattava di un patrimonio di compagne/i che non si è poi diviso meccanicamente tra il PRC, che per fortuna ha mantenuto la gran parte dei militanti di base, e SEL, ma in una quota consistente ha comportato semplicemente un ritorno a casa, di tante/i che non hanno retto l’ennesima divisione a sinistra. Il disgusto per queste divisioni è un sentimento diffuso tra un popolo confuso e deluso, che non solo oggi fa fatica a tornare alla militanza, ma a volte persino ad andare a votare.
Proprio per rispondere a questa giusta esigenza di unità a sinistra, abbiamo contribuito alla nascita della FDS, che ha visto una prima convergenza su una piattaforma anticapitalista, un fronte che siamo impegnati ad allargare fino alla costruzione di una sinistra per “l’alternativa di società”, nella consapevolezza di un’insufficienza delle nostre sole forze, per contrastare una crisi di portata epocale e per  provare ad uscirne a sinistra.
Nel Lazio una prova positiva della FDS si è realizzata alle elezioni regionali del 2010, non solo perché con una spregiudicata alleanza “tecnica” abbiamo eletto due consiglieri, che stanno svolgendo un ottimo lavoro come collettori e punti di riferimento di tutti i movimenti che si sviluppano nella regione, ma anche perché si è realizzata una composizione del programma, della lista e una campagna elettorale innovative, tese a rivolgersi proprio ai movimenti e alle soggettività sociali impegnati nel conflitto e rappresentativi dei punti di maggiore sofferenza nel Lazio, dalla sanità al lavoro, dall’ambiente alla cultura.
Non siamo riusciti tuttavia a mantenere attivi, a livello laziale, quei gruppi di lavoro sui temi centrali delle politiche regionali, che avevano bene accompagnato la campagna elettorale. Questo si è verificato sia per la resistenza a concepire l’unione di forze diverse realizzabile, innanzitutto attraverso il lavoro comune, sia perché la FDS ha segnato il passo proprio sul terreno della militanza, non riuscendo a essere attrattiva, rispetto ad altre soggettività.
D’altra parte quella era anche una fase caratterizzata dalla necessità di garantire la sopravvivenza del nostro partito, il motore di quel progetto, di ricostruirne l’insediamento, di restituirgli credibilità e capacità d’azione, di procedere nel processo d’innovazione politica indicato dal congresso di Chianciano.
Nel Lazio abbiamo cercato di valorizzare al massimo, anche con uno specifico sostegno economico, la RAP e le pratiche sociali ad essa collegate, per farle diventare sempre più, come si è deciso poi al congresso di Napoli, la modalità specifica del nostro agire politico. Un agire non riconducibile al solo mutualismo, importantissimo per il nostro radicamento territoriale, ma rivolto soprattutto alla costruzione del conflitto e alla unificazione dei soggetti sociali, che quando lo praticano non riescono a ricondurlo ad una visione generale delle contraddizioni sociali.
In questi anni siamo stati presenti in tutte le vertenze più importanti della nostra regione, sia a livello istituzionale, che con l’impegno dei/delle compagni/e della segreteria regionale. Siamo ormai riconosciuti per questo, ma in molti casi il sacrificio prodotto, come nel sostegno quotidiano ad alcune importantissime vertenze sul lavoro, non ha portato, nell’immediato, risultati corrispondenti all’impegno, proprio a causa della frantumazione delle vertenze, delle debolezze, divisioni e incertezze dei sindacati, della perdita del punto di vista di classe della propria condizione.
Qualche risultato è stato ottenuto anche in questa direzione, ma molto lavoro si deve ancora fare, anche nell’elaborazione di progetti realizzabili, per dare risposte efficaci nei vari settori. Com’è emerso anche dall’ultimo Comitato Politico Nazionale, ci dobbiamo dotare di proposte concrete e di programmi di governo a tutti i livelli, non per un semplice accesso alle istituzioni, che consideriamo come uno dei luoghi della nostra azione, ma come proposta credibile per mobilitare verso l’uscita dalla crisi a sinistra e la costruzione di punti di forza per “l’alternativa di società”.
A livello regionale abbiamo già in parte lavorato in questa direzione, perciò dobbiamo dare seguito alle campagne che in questi anni abbiamo promosso e in questa fase possono trovare maggiore consenso e mobilitazione. Mi riferisco ad esempio all’abolizione dei ticket sanitari, alla riduzione dei tempi d’attesa per le varie prestazioni, a una riorganizzazione della rete ospedaliera e dei servizi territoriali, rispondente al diritto alla salute, mentre stanno subendo una vera e propria devastazione, alla reintegrazione nel settore pubblico di servizi appaltati a privati, a scapito degli utenti e dei lavoratori esposti ai licenziamenti e alla precarietà, nella sanità come nell’assistenza.
Mi riferisco alla campagna per l’energia rinnovabile, con il superamento dell’idea di “energia” legata esclusivamente alla produzione di quella elettrica, alla campagna per la “decrescita” energetica e della produzione di rifiuti. Proprio su questo terreno potremmo puntare a progetti di riconversione produttiva, che per quanto riguarda i rifiuti può farne una risorsa piuttosto che un drammatico problema, aggredito con discariche e inceneritori, malsani e inquinanti, oltre a divenire sempre più occasione d’affari per la malavita organizzata. La lucida intuizione di Italo Calvino, nelle “Città Invisibili”, a proposito della città di “Leonia”, i cui rifiuti sempre crescenti si andavano a congiungere a quelli di altre città, andrebbe proposta come lettura di massa, obbligatoria nelle scuole, ma quella, giusto quaranta anni fa, era una critica al consumismo e alla cecità della società capitalistica.
Penso alla difesa e al rilancio del trasporto pubblico, per la difesa dei suoi lavoratori e la riaffermazione del diritto alla mobilità. A una formazione professionale utile, sottratta alla speculazione e agli sprechi, che abbia al centro l’impegno per la riconversione produttiva e non l’espletamento dell’obbligo d’istruzione che deve essere realizzato nella scuola statale.
Penso al rifinanziamento del fondo per il diritto allo studio, in un momento in cui tantissimi giovani escono prematuramente o neanche accedono al sistema d’istruzione, a causa dei costi non più sostenibili dalle famiglie, ai fondi per la cultura e al rilancio del ruolo pubblico delle istituzioni culturali, per garantirne qualità e pluralismo.
Potrei continuare a lungo su settori come l’agricoltura, le politiche abitative, la cura del patrimonio artistico, immenso nella nostra regione, e così via, ma credo di poter riassumere le esigenze d’intervento in tutti questi settori nella necessità di un forte intervento pubblico, rispettoso dell’ambiente e dei diritti, che l’attuale amministrazione regionale, in nome del liberismo imperante e in sintonia con il governo dei banchieri, non intende fare.
Questa considerazione non deve però portare all’idea di un’impossibilità, la resistenza insieme al progetto può offrire una grande speranza e un’adeguata mobilitazione per il cambiamento. Le elezioni al Comune di Roma sono alle porte, e Il modello romano influisce su quello di tutta la regione. Ho usato spesso l’espressione di “Roma che mangia il Lazio”, proprio per rappresentare questa situazione.
Ogni giorno, migliaia di pendolari si recano, sempre più faticosamente, nella capitale per ragioni di lavoro, molti di loro, tra i quali moltissimi migranti, sono stati espulsi dalla città per il caro affitti o non vi sono mai potuti entrare per lo stesso motivo, costretti in una periferia dormitorio arrivata fino alle altre province, che si allarga sempre più; ma moltissimi si recano a Roma anche per fruire di servizi, che lì sono stati concentrati, da quelli ospedalieri ad alcuni settori dell’assistenza, da alcuni indirizzi di studio ai megaeventi culturali, inaugurati nell’era “veltroniana”, per cercare opportunità non fruibili nel resto della regione.
Il Lazio è dunque sostanzialmente un territorio che ruota intorno alla capitale, possedendo in questo una specificità penalizzante sia per la vivibilità di Roma che per il tipo di sviluppo delle altre province. Non è così per altre regioni italiane che hanno invece un carattere policentrico.
Per questo l’appuntamento elettorale del Comune di Roma e il suo esito sono importantissimi per il futuro di tutta la regione; ridisegnare Roma equivale a farlo in gran parte anche per il Lazio.
In questa prospettiva, dobbiamo tenere conto che le recenti elezioni amministrative in molti comuni, dai più grandi ai più piccoli, sono state difficilissime, pur avendo dato risultati di sostanziale tenuta per noi e la FDS. Chi ha dovuto gestire alleanze, accordi e campagna elettorale si è trovato nel totale caos politico, determinato in gran parte dalla creazione di coalizioni tra settori della sinistra moderata e della destra, con due e persino tre candidati a sindaco del PD o dell’area del centrosinistra, che hanno dato vita ciascuno ad una propria lista, con disinvolti passaggi da uno schieramento all’altro, senza parlare di fenomeni diffusi del voto di scambio, di ricatti e d’intimidazioni provenienti anche da ambienti in odore di mafia. Tutto ciò ha mostrato gli effetti del pensiero unico e dell’omologazione al quadro politico nazionale, a quale livello siano arrivati il trasformismo e il degrado della politica, vissuta sempre più come mestiere, come opportunità di carriera individuale e per l’acquisizione di privilegi.
Per questo consapevoli del pericolo rappresentato dagli effetti di tutto ciò sull’opinione pubblica, che si estranea sempre più da quello che può solo alludere alla sfera politica e che si rende facile preda del qualunquismo e dell’antipartitismo, abbiamo deciso di passare all’offensiva, di mostrare che c’è chi è diverso, chi li combatte concretamente i privilegi.
Abbiamo promosso un referendum abrogativo dei vitalizi dei consiglieri e assessori regionali del Lazio, con un comitato ristretto alla FDS, che mi onoro di presiedere e al quale stanno arrivando adesioni più dal basso che dall’alto, per la verità. Vogliamo così ricollocare sul terreno giusto la questione dei costi della politica, distinguendo tra privilegi degli eletti, a certi livelli, e finanziamenti delle attività per consentire a tutte/i di produrre iniziativa politica. Abbiamo già visto alcuni effetti della presa sull’opinione pubblica dell’indistinto attacco ai costi della politica, l’uso antidemocratico che ne ha fatto il governo dei banchieri, con la riduzione delle assemblee elettive e della rappresentanza.
Noi siamo diversi, lo dobbiamo dire e soprattutto dimostrare per essere credibili, altrimenti lo straordinario sacrificio di migliaia di militanti, che donano il proprio tempo e le proprie energie per costruire un mondo migliore, rischia di scomparire nella terribile frase “sono tutti uguali”.
Il PRC, con tutte le sue traversie, ha sempre avuto il coraggio del cambiamento, della ricerca, del mettersi in discussione e questo è uno di quei momenti in cui la ricerca di un modo migliore di essere e funzionare è fondamentale, per la nostra esistenza e per un progetto comunista all’altezza del secondo millennio. Strada ne abbiamo fatta e il congresso di Napoli ha deciso di voltare pagina rispetto alle logiche di corrente, rispetto alle quali la delegazione del Lazio ha dato un contributo non indifferente, ma non basta, dobbiamo lavorare di più insieme, essere più elastici nel dotarci di strumenti organizzativi, studiare di più, chiedere contributi a chi ne sa più di noi, confrontarci con i soggetti che producono conflitto contro le scelte dei signori del capitale.
Per questo, con i segretari delle federazioni del Lazio, abbiamo concordato la realizzazione di un congresso regionale che possa essere, oltre che un luogo di confronto sulle politiche regionali, un’occasione di rilancio di un organismo, come quello del comitato regionale, che ha faticato, anche per ragioni statutarie, a definire una propria fisionomia. Il suo eventuale cambiamento non è e non può essere compito nostro, ma un suo uso migliore è un dovere di tutte/i noi, soprattutto per metterlo al servizio del lavoro faticosissimo delle federazioni e dei circoli territoriali, stante anche la difficoltà di un centro nazionale, fortemente ridimensionato, per riuscire a seguire i territori.
Come scritto nell’invito, il congresso si svolgerà in tre fasi: la prima con l’apertura a contributi esterni, non rituali ma riservati a realtà di movimento e associazionismo, con cui condividiamo i conflitti sui punti più caldi delle devastanti politiche regionali, che come dicevo all’inizio, aggravano le già pesanti scelte del governo Monti. La seconda con lavori di gruppo sui principali filoni d’intervento, che hanno caratterizzato e caratterizzeranno la lotta contro la giunta Polverini, per definire linee e modalità di lavoro politico più efficace e produttivo. Ne proponiamo quattro di gruppi, sul lavoro, la conoscenza, la sanità e welfare, l’ambiete. La terza fase si svolgerà in riunione plenaria, con il dibattito generale, le conclusioni della compagna Roberta Fantozzi della segreteria nazionale e l’elezione dei nuovi organismi regionali.
Per agevolare i lavori dei gruppi, sono stati inviati, nei giorni scorsi, sintetici contributi tematici dei/delle compagne/i della segreteria uscente, che si trovano anche in cartellina.
Da ultimo mi permetto di ricordare l’importantissimo impegno per la raccolta delle firme per il referendum sui vitalizi, sul quale ci dobbiamo concentrare tutti come con una priorità. Siamo al primo mese dei tre che abbiamo a disposizione, la raccolta sta andando molto bene, dove si fa, ma dobbiamo intensificarla e allargarla, per raggiungere l’obiettivo, auguro infine un buon lavoro a tutte e a tutti per il nostro congresso.

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