di red.

Se è vero che non è più il tempo delle crescite miracolose, come sottolineava Dani Rodrik qualche giorno fa, sarà bene allora concentrarsi sulla precaria situazione dell’Europa e, in particolare, sulle prospettive di crescita della Germania, fino ad oggi considerata il “paese forte” dell’Unione, quello capace di esercitare il ruolo di “locomotiva”, giustificando in tal senso anche la propria autorità nel dettare l’agenda politica di tutta l’area.

Il campanello d’allarme è suonato il 14 agosto, quando sono stati resi noti dall’Ufficio statistico federale tedesco i dati macroeconomici che mostrano per la Germania una crescita nel secondo trimestre dell’anno (rispetto a quello dell’anno precedente) pari allo 0,3%.

Si tratta certamente di un risultato positivo se confrontato con la “crescita zero” della Francia, e con la recessione dell’Italia (-0,7%) e della Spagna (-0,4%). Ma – si chiede l’Economist in un editoriale del 18 agosto – a queste condizioni, in che misura e fino a quando potrà la Germania fungere da “locomotiva dell’Europa”? Si tratta, è vero, di una situazione relativamente recente, poiché fino alla fine del 2011 la crescita dell’economia tedesca mostrava perfino segni di accelerazione.

 

La difficile situazione degli altri paesi europei, sta però ora sortendo i suoi effetti, anche se alcuni margini di manovra sembrano ancora esistere. La consistenza del surplus commerciale della Germania è infatti è ancora significativa, anche per effetto dell’avanzata sui mercati del centro Europa, dell’Asia e del continente americano e del vantaggio offerto da un euro debole. Per diversi esponenti del governo, anzi, questa è considerata una situazione florida, tale da non richiedere interventi correttivi per aumentare il ruolo di traino della domanda interna. Ma per molti economisti, così come per la confederazione generale del sindacato tedesco, la situazione appare molto meno rosea, e sarebbero piuttosto necessari interventi di stimolo sugli investimenti. I consumi interni, infatti, nel complesso stanno mostrando una discreta stabilità, mentre gli investimenti in nuova capacità produttiva stanno languendo.

In effetti anche i segnali in questo senso non sono tutti univoci, come risulta dalle tendenze del mercato dell’auto, per il quale si registra una nuova espansione nei mercati extra – europei, ed in Cina ed India, in particolare. Ma, di nuovo, sono da porre all’attenzione le prospettive di lungo periodo, poiché, allo stato attuale, i paesi dell’UE rappresentano ancora il 40% dell’export tedesco di auto.

Luci e ombre, dunque, sull’economia tedesca. Ma, soprattutto, una sostanziale incertezza, che si alimenta dell’instabilità del traino esercitato dalle esportazioni in prospettiva (volendo aggiungere – cosa che l’Economist non menziona, ma che è divenuta ormai dominio comune – anche il rallentamento della crescita delle economie emergenti verso le quali la Germania ha diretto progressivamente quote maggiori di export) e della sostanziale debolezza della componente dei consumi in quanto centro propulsore della domanda interna, poiché – come sottolinea l’Economist – i settori del commercio al dettaglio e dei servizi in Germania non sono efficienti nel “catturare” i consumatori.

Stefan Schneider, economista della Deutsche Bank, chiosa il tutto ricordando che è molto difficile per la Germania avere prospettive di crescita sotto siffatte condizioni. E ricorda così che negli anni ’90, ai tempi dell’unificazione, fu fatta proprio una politica di incentivazione dell’investimento nell’Est del paese. Oggi sarebbe il caso di ridare vita a quegli incentivi per gli investire nelle aree della periferia europea.

Ma, aggiungiamo noi, i tempi e i modi stando ai quali – e stando al quadro presentato – la Germania può essere autonomamente in grado di dare impulso alla propria economia, sembrano di là da venire. Mentre sembra assai più realistico il condizionamento che lo scenario negativo dell’economia mondiale tutta è in grado di esercitare nell’immediato, con effetti non trascurabili sulla consistenza e sulla diversificazione delle scelte di investimento.

 

da Keynes blog

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