di Domenico Moro
Qual è il bilancio del governo Monti e soprattutto qual è la situazione dell’e conomia e della società italiana dopo un anno di governo tecnico e di applicazione dell ’agenda europea? Cominciamo con i conti pubblici e con i tassi d’interesse sul debito. Secondo la vulgata i conti dello Stato fuori controllo avevano allontanato i mercati e spinto verso l’alto i tassi d’interesse, allargando il divario con quelli pagati dai tedeschi. C’era il pericolo di non riuscire a rifinanziare il debito, per l’impossibilità di collocare nuove tranche di debito. Quindi ci si sarebbe potuti trovare nella condizione di non pagare neanche gli stipendi pubblici.
Il baratro, insomma. Pochi giorni fa, la Commissione europea ha candidamente ammesso che l’Italia non era mai stata in pericolo. Tuttavia, a quello che dicono gli estimatori di Monti e della “agenda europea”, i conti sono stati raddrizzati, i tassi si sono ridotti e l’Italia ha riacquistato credibilità internazionale.
Ciò è vero se consideriamo che i tassi dei titoli a dieci anni sono scesi dal 6,81 per cento del dicembre 2011 al 4,85 di novembre. In realtà, se consideriamo i tassi medi annui del 2011 e li confrontiamo con quelli del 2012 ci accorgiamo che sono addirittura saliti, passando dal 5,43 per cento del 2011 al 5,58 del 2012.
In pratica, ciò vuol dire che quest’anno paghiamo un servizio sul debito più alto. In effetti, i tassi d’interesse si sono rialzati tra aprile e luglio 2012 ai livelli di novembre 2011. Solo l’intervento della Bce ha risolto la situazione, dimostrando che la soluzione del problema del debito non è nazionale, ma europea.
Per quanto riguarda il deficit, il debito ed i conti pubblici il governo Monti ha raggiunto il risultato più vantato, con un saldo primario, cioè al netto degli interessi sul debito, del 2,6 per cento sul Pil. Ma, in realtà, l’attivo era stato raggiunto già dal governo Berlusconi, grazie a forti tagli lineari della spesa sociale, nel 2011(+1%) e nel 2009 si era avuto un pareggio. Il deficit è al -2,8%, ma anche con il governo Berlusconi la tendenza era in calo, dal 4,6% del 2010 al 3,9 del 2011.
Il debito assoluto, poi, è cresciuto ancora a 2014 miliardi (+102 miliardi in un anno, contro i +38 del 2011), ovvero dal 120,7% del 2011 al 126,4 per cento del 2012. Il mantenimento di una alta spesa per gli interessi sul debito, insieme ai 30 miliardi gentilmente offerti dal nostro Paese all’Europa per i vari fondi salva stati, alla riduzione delle imposte alle imprese e ai miliardi erogati sempre a queste ultime spiega perché il debito è cresciuto. Nonostante i tagli alla sanità, agli enti locali e all’istruzione e l’aumento della pressione fiscale sui lavoratori.
Insomma, se gli obiettivi erano quelli dichiarati, il governo Monti ha fallito e i sacrifici imposti agli italiani non hanno ottenuto risultati proporzionati. Passiamo alla credibilità internazionale riconquistata.
Se intendiamo quella dei mercati, ovvero degli investitori internazionali, la riconquista c’è stata poco o per nulla, visto che la quota estera del debito italiano è rimasta allo stesso livello dell’inizio dell ’anno, cioè intorno al 35 per cento, mentre a inizio 2011 era al 50 per cento. Se intendiamo la credibilità presso i centri economici dominanti italiani, europei, ed internazionali dobbiamo dire di sì.
La ragione è molto semplice. Come hanno candidamente affermato Commissione europea e Bce l’Italia è passata da reproba a prima della classe non tanto per i conti pubblici, ma perché ha implementato le (contro)riforme delle pensioni e del mercato del lavoro. Come già accaduto nel primo dopoguerra, la difesa della stabilità valutaria, allora messa a rischio dalla parità aurea ora dall’unità monetaria europea, è uno strumento per imporre la ristrutturazione dei rapporti di produzione tra lavoro e capitale e tra capitali su base continentale.
Non interessano il mercato e gli investimenti interni, ma il mercato e gli investimenti internazionali. Quindi, i salari reali e il welfare vanno ridotti, mentre l’organizzazione del lavoro deve essere piegata interamente alle esigenze del massimo profitto, come spiega Marchionne. Le Pmi, il cui tasso di mortalità cresce, non sono più la ricchezza d’Italia, ma il retaggio di una fase economica ormai passata.
Come aumenta l’impoverimento e la concentrazione della ricchezza fra i cittadini, così aumenta anche la concentrazione del potere economico e della produzione fra le imprese. Si favorisce la grande impresa esportatrice, specie se multinazionale.
Il fatturato delle multinazionali italiane tra 2009 e 2010 è cresciuto del 15%, e tra 2011 e 2012 gli investimenti esteri sono aumentati del 9,8%, specie nella Ue, mentre quelli interni sono calati per trimestre mediamente quasi dell’8%.
Il vero risultato di quest’anno è il miglioramento della Bilancia dei conti correnti e della posizione patrimoniale con l’estero, entrambe collegate all’aumento dell’export di capitale e di merci e all’abbassamento dei salari. Nel 2012 l’interscambio di beni ha raggiunto un attivo di 12 miliardi, mentre nel 2011 era in passivo di -16,6 miliardi.
da Pubblico giornale