di Domenico Moro

Nei giorni scorsi, l’Istat ha rilasciato i dati sulle retribuzioni e sulle ore di cassa integrazione nella grande impresa conoltre 500 addetti.Ad ottobre la retribuzione lorda per ora lavorata rispetto a settembre è diminuita del 2,4%, mentre nel periodo tra gennaio ed ottobre 2012 rispetto al 2011 la crescita di salario e costo del lavoro per dipendente è stata dell’ 1,1%, ovvero di 1,9 punti in meno dell’inflazione annua, con una corrispondente perdita di capacità d’acquisto. Il dato è ancora più grave se consideriamo che la grande impresa presenta salari molto superiori alle Pmi, e che, essendo composta da imprese esportatrici, spesso multinazionali, beneficia del forte aumento dell’export.

Inoltre, la cassa integrazione è aumentata rispetto ad ottobre del 2011 di 4,5 ore ogni mille lavorate, portandosi a 34,6 ore. Ma il punto più importante è che tali dati si inseriscono in una tendenza di lungo periodo. Secondo l’International labour organization (Ilo), l’andamento dei salari negli ultimi dieci anni è stato molto diverso nei paesi centrali e nei paesi periferici dell’economia mondiale.
Tra 2000 e 2011 in Asia orientale i salari sono raddoppiati, nell’Europa dell’Est e in Asia centrale sono quasi triplicati, in Africa sono aumentati del 18%, e in America latina del 15%. Al contrario nei paesi avanzati – Usa, Giappone ed Europa occidentale -, i salari sono cresciuti del solo 5%. L’ultima crisi ha colpito molto di più i Paesi avanzati. In questi, il salario reale è calato dello 0,3% nel 2008, è cresciuto di poco nel 2009 e nel 2010 e nel 2011 è diminuito ancora dello 0,5%. Viceversa, in quasi tutte le altre aree è quasi sempre aumentato, in particolare nel 2011 in Europa orientale e Asia centrale è aumentato del 5,2%, in Asia orientale del 5%, in America Latina del 2,2% e in Africa del 2,1%. La performance migliore è della Cina, dove i salari reali tra 2000 e 2010 sono triplicati, del 12% annuo. Senza la Cina l’Asia orientale nel 2011 registra un calo dello 0,9% nei salari reali.
Un fenomeno che l’Ilo mette in evidenza è l’aumento dei “poveri che lavorano”, dovuto alla riduzione dei salari minimi reali, specie dopo il 2009. Ad esempio, in Grecia il salario minimo ha perso il 22% del suo valore.
Un altro fenomeno importante è che, mentre nel passato nei paesi industrializzati più prosperi i benefici della crescita si distribuivano equamente tra lavoratori e imprese, da alcuni decenni si è affermata la tendenza alla diminuzione della quota del lavoro. L’Ocse ha calcolato che questa mediamente è scesa dal 66,1% del 1990 al 61,7% del 2009. Nei paesi sviluppati è scesa dal 75% della metà degli anni ’70 al 65% attuale, in Giappone addirittura dall’80% al 65%.
Era stata la proposta shock (peraltro efficacissima per la vittoria finale) dell’allora candidato alle presidenziali François Hollande per rimarcare la sua forte alterità rispetto a Sarkozy: una super tassa per i super-ricchi. Ieri, però, è arrivata una battuta d’arresto per il presidente socialista: il Consiglio Costituzionale di Parigi ha definito incostituzionale la nuova tassazione al 75% sui redditi sopra il milione di euro, approvata dall ’Assemblea nazionale nell’ottobre scorso. Secondo la più alta autorità francese, la nuova aliquota fiscale non rispetta il principio di uguaglianza dal momento che viene applicata a singoli individui e non a tutti i contribuenti. Le autorità costituzionali si accorgono delle diseguaglianze soltanto quando ledono i diritti dei più forti o dei più fortunati. Malgrado ciò il governo francese ha fatto sapere di voler andare avanti.
È andata salendo negli ultimi anni. Anche così non cresce l’economia reale ma solo quella finanziaria, un nuovo sistema in conformità con i principi esposti dalla decisione del Consiglio costituzionale e sarà presentato nell’ambito della prossima finanziaria».
La tassa del 75% sui super-ricchi è stata uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Hollande e ha suscitato diverse critiche, nonostante la sua applicazione sia temporanea per due anni e ristretta a poco più di 1.500 cittadini francesi.
Nelle scorse settimane, il tema ha gistrato forti incrementi salariali, compresa la Cina. Va notato che è cresciuta la parte dei profitti destinata, invece che al reinvestimento, al pagamento dei dividendi agli azionisti, per circa il 35% nel 2007. Ciò ha contribuito a spingere le imprese a comprimere i salari.
Ad esempio, in Francia i dividendi sono passati dal4%del monte salari complessivo nel 1980 al 13% nel 2008, e negli Usa i tre quarti dell’incremento dei profitti è andato ai dividendi.
La ragione del calo della quota dei salari è dovuta al fatto che l’aumento dei salari orari è rimasto al di sotto dell’aumento della produttività oraria. Nei Paesi avanzati dal 1999 la produttività è aumentata il doppio dei salari. Ad esempio, in Germania tra 2000 e 2011 la produttività oraria è salita del 12,8%, mentre il salario orario solo dello 0,4%, senza contare che il salario mensile è diminuito per l’introduzione massiccia, grazie alla riforma Harz (2005), del part-time e di forme atipiche come i cosiddetti mini-job.
Nel 2012 e, si prevede, nel 2013, il Regno Unito si troverà davanti al paradosso di una economia in recessione che continua a creare occupazione fino al record di 29,6 milioni di occupati.
La spiegazione anche in questo caso è dovuta alla riforma del mercato del lavoro, che costringe i lavoratori a scambiare lavoro contro riduzioni salariali e precarietà. I nuovi posti di lavoro sono part-time, a breve termine e sottopagati. L’obiettivo della Ue è estendere questo tipo di controriforme del mercato del lavoro a tutti i Paesi dell’Europa occidentale.
In Italia la controriforma Fornero ha assolto a questa funzione, che l’agenda Monti si propone di portare avanti. L’apprendistato, rispetto al tempo determinato, consentirà di ridurre il salario, senza contare che rende possibile il sottoinquadramento fino a due livelli. L’Aspi, sostituendo la mobilità con l’assegno di disoccupazione, ridurrà l’importo e la durata per gli ultra 50enni da 36 mesi a 12 e per gli ultra 55enni da 36 a 18. Il che con l’aumento dell’età pensionabile creerà una massa aggiuntiva di disoccupati disponibili a qualsiasi condizione. La caduta del saggio di profitto nei paesi avanzati è stata affrontata diminuendo i salari, diretti, differiti (pensioni) ed indiretti (welfare), e trasferendo la produzione in periferia. Ciò ha determinato il divergente andamento dei salari tra centro e periferia ed ha accentuato la crisi del centro. Infatti, secondo L’Ilo e quanto abbiamo visto in Italia, la diminuzione della quota che va ai salari riduce la domanda aggregata anche se aumenta l’export. Inoltre, la riduzione dei salari non necessariamente incentiva gli investimenti produttivi, vista la crescita dei dividendi agli azionisti, che ne incrementa il reddito personale.

da Pubblico giornale

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