di Federica Pitoni
La palla passa a Sarsak che scatta, sorprendentemente, la passa ai suoi compagni di squadra, siamo nella metà campo avversaria, i difensori passano al contrattacco, lo bloccano con un intervento falloso. E’ incredibile! Fallo! E’ fallo e l’arbitro statunitense e i guardialinee europei non fischiano. Il gioco continua. Scandaloso! Non è stato fermato il gioco e Sarsak è a terra visibilmente vittima di un fallaccio. Proteste dai compagni di squadra e dagli spalti, ma niente. Il gioco continua. La squadra avversaria si è impossessata della palla e corre verso la metà campo palestinese. La squadra palestinese ha un sussulto. La difesa si organizza e crea un contrasto netto. Niente da fare però.
Continua il gioco falloso, mentre vediamo Sarsak ancora a terra dolorante. Altri compagni di squadra subiscono falli, ma arbitro e guardialinee sembrano non accorgersi di nulla. Il gioco prosegue. Un tiro dell’attaccante israeliano tocca i pali della porta palestinese. Risposta immediata della difesa palestinese, ecco, vediamo che il gioco si fa sempre più violento. Questa partita resterà nella storia per le scorrettezze e per un arbitraggio che sembra non accorgersi di nulla. Ecco ora ancora un tiro, un tiro fortissimo verso la porta palestinese… parata! Spettacolare parata. Intanto vediamo che Sarsak si è rialzato. Muove dei passi incerti. No, eccolo, sta rientrando in gioco, lo vediamo scattare verso i compagni. Ottimo gioco di squadra. Le stanchezza si sta facendo sentire, ma Sarsak corre, si impossessa della palla. Eccolo. E’ nella metà campo avversaria. Dagli spalti è un coro. I compagni fanno gioco di contenimento. Sarsak. Sarsak in contropiede. Eccolo. Si avvicina pericolosamente alla porta. Passa la palla a un compagno di squadra. Una finta e la palla passa di nuovo a Sarsak. Sarsak è solo di fronte alla porta israeliana. Un tiro fortissimo. Ed è goal. Goal! Incredibile questa partita! Sarsak ha segnato!
Inevitabile la metafora calcistica. Ma questa inverosimile e fallosa partita c’è stata davvero. Non su un campo di calcio. E non di un gioco si è trattato. Ma di un lunghissimo braccio di ferro per la libertà, portato avanti a oltranza da Mahmoud Sarsak e da moltissimi altri prigionieri palestinesi. Questa telecronaca però non la leggerete su nessun giornale. Continua il silenzio stampa sulla Palestina e sulla vicenda che ha visto protagonista il calciatore palestinese.
10 luglio 2012, Mahmoud Sarsak, calciatore della nazionale palestinese, detenuto in un carcere israeliano da tre anni senza alcuna accusa e nessun processo, è stato liberato. Grande la gioia in tutta la Palestina, ovviamente. Sarsak si trova ora all’ospedale Al Shifa a Gaza per accertamenti.
Mahmoud – ne avevamo già raccontato – era stato arrestato al valico di Beit Hanoun (Eretz) nel luglio del 2009. Negli ultimi mesi, insieme a migliaia di altri detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, aveva portato avanti un lunghissimo sciopero della fame – 96 giorni per lui – interrotto solo dopo l’impegno, stavolta mantenuto, da parte di Israele di rilasciarlo. Un lunghissimo braccio di ferro, che ha messo seriamente in pericolo la vita di Sarsak e di altri prigionieri, alcuni dei quali hanno ripreso lo protesta. Un braccio di ferro portato avanti tenacemente per spezzare anche quella coltre di silenzio che avvolge sulla stampa mondiale le notizie provenienti dalla Palestina e per denunciare lo scandalo della detenzione amministrativa, con cui Israele imprigiona e detiene in carcere migliaia di palestinesi senza alcuna accusa e senza quindi processi regolari: di sei mesi in sei mesi la detenzione viene prorogata e può quindi durare anni, senza possibilità di difesa. Un braccio di ferro per protestare poi per le inumane condizioni di vita cui sono sottoposti i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane: l’isolamento per deprivare i prigionieri dei loro diritti, le umiliazioni cui sono sottoposti, le perquisizioni fisiche, i raid notturni, le punizioni collettive, fino ad arrivare alle torture, per l’assenza di cure mediche, per l’impossibilità di introdurre in carcere libri o giornali o materiali di studio, per la negazione alle famiglie, anche per anni, di poter visitare i propri cari. Inoltre nelle carceri israeliane sono detenuti anche bambini, sottoposti alle stesse condizioni di vita carceraria degli adulti. Tutto questo violando ogni diritto umano e nel silenzio internazionale. Ecco, la protesta degli stomaci vuoti è stato tutto questo.
Mahmoud quindi ha vinto una battaglia per la sua libertà personale, ma per tutto il suo popolo. E’ riuscito a portare l’attenzione internazionale – vi erano state, sia pur tardivamente, prese di posizioni di importanti personaggi e della Fifa – sul suo caso e quindi sulla Palestina. Nell’ipocrisia generale, nessuno dei grandi media oggi riporta la notizia, come non riportò la notizia del suo sciopero della fame. Israele da sempre sa che può permettersi la violazione continua dei diritti umani e delle risoluzione dell’Onu senza che nessuno alzi la voce. Ma a volte un giovane palestinese, gambe forti da calciatore, può riuscire anche a segnare la rete per la vittoria. Oggi per tutte e tutti i palestinesi è un giorno importante. Un giorno di festa. Ma la lotta continua perché ogni palestinese sa che solo la volontà e l’unione nella lotta di tutto il popolo palestinese arriverà a spezzare l’enorme ingiustizia che da più di sessantaquattro anni si vive nella terra degli ulivi.
Federica Pitoni
Mezzaluna Rossa Palestinese Italia