di Keynes blog

E’ netto come sempre Nouriel Roubini nel ribadire la sua visione pessimistica sull’evoluzione della crisi: lo ha fatto ieri in una intervista a Bloomberg, ribadendo, anche su twitter, gli aspetti che aggraverebbero fortemente il quadro nel 2013. Gli “ingredienti” sono quelli di una “perfetta tempesta globale” già annunciata poco meno di un mese fa su project syndicate, vale a dire il contemporaneo verificarsi di più eventi catastrofici come il crollo dell’Euro, la battuta d’arresto della crescita economica dei Brics con in testa la Cina, una forte recessione in Usa e un conflitto dalle vaste proporzioni nel Vicino Oriente.

 

Ciò che in sostanza aggrava la crisi rispetto al periodo 2008-2009 sono i margini molto più stretti di manovra che le politiche possono concedersi: le politiche monetarie perché i tassi di interesse sono già molto bassi e perché sono state comunque praticate già molte iniezioni di liquidità, le politiche fiscali perché costrette entro i limiti imposti dagli oneri dei debiti sovrani.

A tutto questo – sottolinea Roubini – si aggiunge il circolo vizioso che mutua la debolezza del sistema bancario con quella dei debiti sovrani, specialmente nell’eurozona. E non è certo la politica dell’austerità a tracciare la strada maestra per uscire da questo impasse: occorrerebbero un accordo sulla crescita, un’unione fiscale con l’emissione di eurobond ed una unione bancaria completa con garanzia iniziale di deposito da parte dell’eurozona. Ma a tutto questo la Germania si oppone. E con tutte le altre prospettive peggiorative che si muovono sullo scenario mondiale – incluse quelle ieri confermate da Christine Lagarde anticipando le stime del FMI che saranno presentate il 16 luglio prossimo – è plausibile concludere che aumentano le probabilità per un disastro dell’eurozona. Così come lo ritiene plausibile Dani Rodrik, che prospetta anche lui, non meno di Roubini, uno scenario a tinte fosche, descritto con un inquietante presente storico:

“L’economia cade in ciò che i futuri storici chiameranno Seconda Grande Depressione. [...]

Come nel caso della Grande Depressione, le conseguenze politiche sono più serie ed hanno un effetto significativo nel lungo termine. Il crollo dell’eurozona (e, per tutti gli obiettivi concreti, dell’UE stessa) obbliga a fare un riallineamento delle politiche europee. La Francia e la Germania si trovano a competere apertamente come centri alternativi di influenza nei confronti dei più piccoli stati europei. I partiti del centro pagano il prezzo del loro sostegno al progetto d’integrazione europea e vengono ripudiati nelle elezioni dai partiti di estrema destra o estrema sinistra. I governi “nativisti” iniziano a buttare fuori gli immigrati.

Per i paesi vicini, l’Europa non brilla più come il faro della democrazia. Il Medio Oriente arabo opera una svolta decisiva verso l’islamismo autoritario mentre in Asia il contrasto economico tra Cina e Stati Uniti si tramuta in conflitto militare con scontri navali sempre più frequenti nel Mar Cinese Meridionale, minacciando di trasformarsi in una guerra su vasta scala.

Molti anni dopo, alla Merkel, che si è nel frattempo ritirata dalla politica diventando una reclusa, viene chiesto se avrebbe fatto qualcosa di diverso durante la crisi dell’euro. Purtroppo la sua risposta arriva troppo tardi per cambiare il corso della storia.
Uno scenario remoto? Forse, ma non abbastanza remoto.”

Ma le voci pessimiste di Roubini e di Rodrik non sono (per fortuna) del tutto isolate. Wolfgang Munchau, editorialista del FT, si è espresso sulle implicazioni del vertice europeo e sullo svolgimento della crisi con queste parole:

“Penso che sia stato un passo molto grande, nella direzione sbagliata. Il vertice ha preso una concreta decisione sulla risoluzione della crisi, subordinata ad una decisione futura, che sarà ancora più difficile da raggiungere, e quindi con anche più probabilità di fallire.

Essi hanno convenuto che non ci sarà una comune ricapitalizzazione delle banche fino a che non sia stabilita un’unione bancaria completa. E la Bundesbank ci ha ricordato che quest’ultima non è possibile senza un’unione politica. L’implicazione logica è che la crisi non si risolverà per i prossimi 20 anni.

Quello che sappiamo ora è che la Germania non accetterà di un’assicurazione congiunta dei depositi. Non può nemmeno accettare di dare una licenza bancaria al Meccanismo Europeo di Stabilità, in modo che possa finanziarsi a debito. Se la Germania non può fare il minimo necessario ora, perché qualcuno dovrebbe pensare che può essere d’accordo per una unione politica? Questo è meno credibile della promessa di un alcolista di smettere di bere in cinque anni.”

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