di Michele Giorgio
Non occorre conoscere l'ebraico. Un semplice turista può facilmente capire l'argomento che da giorni occupa le prime pagine dei giornali israeliani. Le immagini sono eloquenti, immancabile quella del cacciabombardiere sullo sfondo di una mappa dell'Iran, con indicati tutti i siti nucleari. Il mondo, come ben spiegava Aluf Benn domenica scorsa in un editoriale su Haaretz, tace e non reagisce. «Un silenzio assordante».
La comunità internazionale, come tanti amano definirla, si è abituata alla retorica bellica del premier Netanyahu o, peggio, si è rassegnata al fatto che Israele presto o tardi attaccherà le centrali atomiche iraniane facendo precipitare il Medio Oriente nel baratro di un nuovo conflitto. Come se non bastasse già la devastante guerra civile siriana.
È evidente che i sistemi antimissile Arrow e antirazzo Iron Dome, frutto di investimenti per centinaia di milioni di dollari, in parte donati dagli alleati americani, potranno bloccare solo una frazione dei missili balistici che l'Iran sparerà contro Israele. I rifugi pubblici e quelli nelle case restano la protezione principale a disposizione dei civili israeliani. A conferma che la guerra è alle porte, il comune di Tel Aviv ha diffuso nei giorni scorsi una mappa dettagliata dei 241 rifugi pubblici della città, in grado di ospitare circa 40 mila persone. «Di questi 111 sono dotati di filtri dell'aria in caso di un attacco chimico», ha tenuto a sottolineare un rappresentante della municipalità. Gran parte della popolazione israeliana tuttavia sceglierà il rifugio di casa. Tutte le case e gli appartamenti israeliani costruiti dopo il 1992 hanno per legge un rifugio. Si sente parlare poco di maschere antigas, almeno rispetto al passato. Gli attacchi degli Stati Uniti contro l'Iraq dal 1991 in poi furono preceduti da intese campagne di sostituzione e distribuzione delle maschere antigas ai tutti i cittadini (ma non ai palestinesi sotto occupazione israeliana nei Territori).
Netanyahu, che si accinge a nominare un nuovo responsabile per il Comando del Fronte Interno, si sente sicuro. Domenica scorsa, al meeting settimanale del governo, ha detto che il paese è pronto a tutto, che i civili sono adeguatamente protetti dai sistemi Iron Dome e Arrow, lasciando così intendere che l'attacco all'Iran è imminente e avverrà forse prima delle presidenziali americane, come ha annunciato qualche giorno fa il quotidiano Yediot Ahronot. Forte dell'appoggio del ministro della difesa Ehud Barak, il primo ministro è deciso ad andare alla guerra nonostante i sondaggi d'opinione contrari e la contrarietà, almeno apparente, dell'amministrazione Obama. Gli analisti invece frenano. Sostengono che Israele attaccherà solo quando lo faranno gli Stati Uniti. I preparativi della guerra però ci dicono il contrario.