di Paola Desai

La scena ricorda molto il vecchio Sudafrica. La polizia ha aperto il fuoco su una folla di minatori in sciopero, lasciando a terra 18 morti, secondo alcuni reporter. E' l'episodio finora più sanguinoso del conflitto cominciato venerdì scorso quando i circa 3.000 addetti alla miniera di platino di Marikana, un centinaio di chilometri a nord-ovest di Johannesburg, si sono messi in sciopero. Conflitto duro, che ha già fatto una decina di morti nello scontro tra due sindacati per l'egemonia. Ma le immagini viste ieri ricordino la violenza dei tempi dell'apartheid.


La polizia in tenuta antisommossa si è avvicinata al sito della miniera con l'appoggio di veicoli blindati. Gli scioperanti occupavano uno sperone roccioso e la polizia stava disponendo barricate di filo spinato quando ha visto i minatori avvicinarsi. Pare che avessero bastoni e lance di legno: un reporter della Reuters le ha viste, più tardi, accanto ai cadaveri. Non sembra che siano partiti colpi d'arma da fuoco da parte dei minatori. Sono partiti invece dal lato della polizia: nei filmati tv si sentono lunghe, intense scariche di armi automatiche. Quando polvere e fumo si sono diradati sono apparsi numerosi corpi a terra, nel loro sangue. Il reporter dell'agenzia sudafricana Sapa ne ha contati 18.
In precedenza la polizia aveva detto che le trattative con gli scioperanti erano ormai rotte e non restava che disperdere i lavoratori. Ieri mattina la compagnia mineraria Lonmin, proprietaria della miniera, ribadiva che lo sciopero era illegale e se i minatori non avessero accettato di tornare al lavoro entro venerdì \, andavano sgomberati. Più tardi, a massacro avvenuto, il vicepresidente esecutivo Barnard Mokwena si è limitato a dire all'agenzia Ap: «L'operazione è della polizia».
Il conflitto a Marikana era cominciato il 10 agosto, quando i minatori hanno sospeso il lavoro chiedendo aumenti salariali. La Lonmin ha subito definito illegale lo sciopero. Il giorno dopo alcuni lavoratori che volevano andare al lavoro sono stati bloccati dagli altri, ed è scoppiato aperto il conflitto tra due i sindacati sulla scena: la National Union of Mineworkers (Num), che ha avuto l'egemonia negli ultimi vent'anni, legata all'African National Congress di cui sostiene il governo; e la più radicale Association of Mineworkers and Construction Union (Amcu). E' quest'ultima a condurre lo sciopero, accusando la Num di non difendere davvero gli interessi dei lavoratori. Lo scontro è diventato sanguinoso, nell'ultima settimana in diversi episodi 10 persone (tra cui due agenti di polizia presi a machetate) sono rimaste uccise. Finché mercoledì un contingente di 3.000 agenti, tra cui gli uomini in tute mimetiche dell'unità di élite antisommossa, con appoggio di elicotteri e cavalli, hanno preso posizione presso la miniera. In un comizio appassionato il presidente della Amcu, Joseph Mathunjiwa, ha detto che «i minatori non se ne andranno», e se la polizia fosse intervenuta ci preparava «un bagno di sangue». E così è stato.
Ieri le azioni della Lonmin, quotata alla borsa di Londra, sono scese del 6,33%. Lunedì, a causa del conflitto, la compagnia aveva fermato la produzione nelle sue miniere sudafricane di platino, che fanno circa il 12% della produzione mondiale del metallo (il Sudafrica è il primo produttore mondiale e ha l'80% delle riserve note al mondo). Così, benché il prezzo del platino sia sceso negli ultimi 6 mesi, e la domanda sia debole, nell'ultima settimana è risalito del 2%. Il Congresso dei sindacati sudafricani (Cosatu), che sostiene il Num, nei giorni scorsi ha fatto appello all'unità, commentando che la violenza alla miniera Lonmin fa parte di «una strategia di dividere i lavoratori e indebolire la loro posizione». Ma nella base, tra i lavoratori sudafricani, la rabbia ribolle.

 

da il manifesto

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