di Joseph Halevi
Il viaggio del premier greco Samaras ha evidenziato la continuità di François Hollande col suo predecessore Nicolas Sarkozy. La Grecia rappresenta la cartina di tornasole nei confronti dell'austerità. Rompere l'austerità in Europa significa riconoscere la realtà dei fatti: Atene non può pagare il debito se non indebitandosi ulteriormente. La stessa cosa sta succedendo in Portogallo ove, dopo le misure di austerità, il drastico calo del gettito fiscale ha reso impossibile il raggiungimento degli obiettivi di bilancio.
Nei confronti della Grecia Hollande ha accentuato la pressione, appoggiando la richiesta tedesca e di Bruxelles di ulteriori sacrifici.
Dato che il pil greco è in caduta libera, creando quindi continue voragini fiscali, i sacrifici richiesti aumentano col passar dei mesi e perfino delle settimane. Alla fine di luglio si parlava di nuovi tagli di bilancio, prevalentemente su welfare e pensioni, per 11,5 miliardi di euro, mentre adesso si parla di 13,5 miliardi. Da osservare che dopo la ristrutturazione del 75% del debito posseduto dai privati effettuata alcuni mesi orsono, Atene è indebitata in prevalenza con gli organismi internazionali rappresentati dalla Troika. Questi però non intendono effettuare alcuna riduzione dell'onere. In altre parole la Bce vuole essere rimborsata con i profitti.
Perché questo piccolo paese continua ad assumere involontariamente un tale peso nel contesto della crisi dell'eurozona? Concordo con la recente intervista rilasciata alla Bbc da Yanis Varoufakis. Secondo l'economista greco consigliere di Syriza la Grecia viene tenuta in accanimento terapeutico attraverso il circolo vizioso di tagli sempre maggiori, cui corrisponde un sempre maggiore indebitamento verso le istituzioni ufficiali, solo perché Bruxelles, Berlino, Francoforte e Parigi non hanno ancora deciso cosa fare con la Spagna e l'Italia. La questione è se procedere o meno nei confronti di Spagna ed Italia col piano di Mario Draghi di permettere alla Bce di acquistare direttamente titoli pubblici e di limitare il tasso di interesse di rischio. Ma a Berlino non vi è una linea su quest'argomento cruciale. Nel caso prevalesse la linea Draghi, Atene e Lisbona, ma non Dublino, verrebbero con molta probabilità lasciate andare alla deriva, riconoscendone lo stato effettivo di default.
da il manifesto