di Riccardo Noury
La notte del 3 settembre, una coppia fa l’amore in macchina, in una strada di Tunisi. Arrivano tre poliziotti. Due stuprano lei, 27 anni, direttamente dentro il veicolo, il terzo costringe il fidanzato ad prelevare contante da un vicino bancomat.
La ragazza presenta denuncia all’autorità giudiziaria. I tre poliziotti vengono arrestati per stupro ed estorsione. Il codice penale tunisino, emendato nel 2011, contiene una definizione del reato di tortura quasi in linea col diritto internazionale e prevede pene durissime, fino all’ergastolo, per chi la pratica. (Il parlamento italiano, che da quasi un quarto di secolo non introduce il reato di tortura nella legislazione, sebbene sia obbligato a farlo dal 1988, anno della ratifica della Convenzione Onu contro la tortura, potrebbe prendere esempio).
Finisse qui, questo post racconterebbe una storia in cui un grave reato commesso da un pubblico ufficiale viene denunciato e perseguito dalle autorità giudiziarie.
Non finisce affatto qui, purtroppo. Perché domattina o al massimo dopodomani i due fidanzati devono comparire, loro, davanti al giudice per rispondere di “comportamento indecente intenzionale”. I poliziotti indagati per stupro ed estorsione hanno infatti riferito di aver trovato la coppia in una “posizione immorale in luogo pubblico”. Espressione richiamata anche in una dichiarazione del ministero dell’Interno sul caso.
Così, anziché proteggerla dalle intimidazioni e dai rischi di rappresaglia, la giustizia tunisina rischia di umiliare, delegittimare e screditare una persona che ha denunciato di essere stata stuprata da uomini in divisa.
Le organizzazioni tunisine per i diritti delle donne affermano che questo è il primo caso in cui la denuncia di una donna contro agenti di polizia accusati di stupro arriva in un’aula di giustizia. Se, di fronte a questo fatto nuovo, il potere reagisce così, quante vittime di stupro rinunceranno a presentare denuncia, per evitare di finire loro stesse sul banco degli imputati?
La vicenda ha destato preoccupazioni e suscitato proteste nel paese.
Il contesto nel quale va collocata questa vergognosa storia è quello di una diffusa sensazione d’impunità da parte della polizia e, soprattutto, di una misoginia che rischia di diventare istituzionale.
A settembre, il governo di Tunisi ha respinto la raccomandazione del Comitato Onu sui diritti umani di abolire la discriminazione contro le donne nelle leggi e nelle pratiche quotidiane.
C’è ancora in ballo, poi, la questione della stesura della Costituzione, di cui avevamo già parlato in questo blog. Ora pare che l’emendamento sulla “complementarietà” del ruolo delle donne rispetto agli uomini sia stato ritirato, ma non siamo ancora all’approvazione definitiva.
Il fatto quotidiano - 01.10.12