121005erdogandi Michele Giorgio
Il premier turco Erdogan ieri ha ottenuto il voto favorevole del Parlamento alla sua richiesta di operazioni militari fuori dai confini nazionali (in Siria), all'indomani dell'uccisione di cinque cittadini turchi causata da un colpo di mortaio sparato dall'altra parte della frontiera. A nulla sono servite le scuse giunte da Damasco, frutto anche delle pressioni di Mosca. «Attraverso il nostro ambasciatore, abbiamo parlato alle autorità siriane le quali ci hanno assicurato che quanto accaduto al confine con la Turchia è stato un tragico incidente e che non accadrà di nuovo», ha detto il capo della diplomazia russa Serghiei Lavrov ieri a Islamabad. Il governo Erdogan però ha continuato ad usare un tono bellicoso, forte anche delle rinnovate dichiarazioni di pieno appoggio degli Stati Uniti e di vari paesi europei, tra i quali l'Italia.

Il ministro degli esteri Terzi che da mesi prova, con risultati scadenti, a dare visibilità al suo impegno a favore del Csn e dei ribelli siriani anti-Assad, ieri ha prima definito «perfettamente legittima» la richiesta di autorizzazione chiesta da Erdogan al Parlamento ad operazioni militari oltre confine. Poi ha esortato con forza il regime di Damasco a «cessare di portare avanti queste provocazioni, siano esse volontarie o casuali» e di «dare prova di un minimo di responsabilità». Terzi dovrebbe rivolgere un analogo invito alla «responsabilità» anche agli alleati turchi che favoriscono (a dir poco) il traffico di armi e soldi a favore dei ribelli siriani, alimentando una guerra civile che fa decine di morti ogni giorno, evidentemente non solo a causa delle armi pesanti e dell'aviazione del regime di Damasco.
In ogni caso sono stati proprio i cittadini turchi a placare le intenzioni bellicose di Erdogan, che tra mercoledì notte e ieri pomeriggio, ha fatto martellare per ore, con l'artiglieria pesante, postazioni dell'esercito siriano lungo la frontiera. Ad Ankara decine di persone si sono riunite spontaneamente davanti alla sede del Parlamento per contestare il premier e denunciare il rischio di una guerra. Sono state disperse brutalmente dalla polizia che ha fatto uso di manganelli e lacrimogeni. Un instant poll del quotidiano Hurriyet ha rivelato che il 55% dei turchi è fortemente ostile a un conflitto con Damasco. Sondaggi che dicono anche che la maggioranza della popolazione non approva la politica del premier islamista sulla crisi siriana e il suo dichiarato appoggio ai ribelli sunniti contro l'ex-amico Bashar Assad. Non solo. L'impennata di violenza nel Kurdistan turco, dove i combattenti del Pkk (appoggiati da Damasco) sono all'offensiva da luglio, è considerata un effetto boomerang della politica di Erdogan in Siria. L'hashtag "#savasahir" ("#noallaguerra" in turco) ieri era il trending topic principale sul twitter turco e uno dei primi su quello globale.
Forse anche per questo il vicepremier turco Besir Atalay si è affrettato a dichiarare che quella approvata da Parlamento non è una mozione di guerra. La Turchia non vuole un conflitto con la Siria e il via libera del Parlamento ha un carattere dissuasivo, ha spiegato il vicepremier. A raffreddare il piano di Erdogan di creare una «zona cuscinetto» in territorio siriano - testa di ponte a favore dei ribelli anti-Assad alla quale Ankara lavora a mesi - è stata anche la presa di posizione dei potenti vicini iraniani, primo sponsor di Damasco. Il viceministro degli esteri di Tehran, Hossein Amir-Abdollahian, ha esortato «entrambe le parti a dar prova di moderazione, ad esaminare la situazione con precisione e a fare attenzione agli obiettivi dei nemici della regione».
Il quadro ieri sera appariva leggermente meno teso. Tuttavia la frontiera tra i due paesi rimane calda e un nuovo incidente potrebbe dare il via al conflitto. Turchia e Siria peraltro hanno continuato a scambiarsi accuse durissime all'Onu. «L'attacco siriano è una flagrante violazione del diritto internazionale e chiediamo che il Consiglio di Sicurezza Onu adotti le azioni necessarie», ha scritto l'ambasciatore turco, Ertugrul Apakan, in una lettera inviata ai Quindici. «L'aggressione siriana alla Turchia rappresenta una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale» ha aggiunto. Immediata la replica della parte opposta. Ankara deve «dare prova di autocontrollo, cooperare per il controllo delle zone di confine con la Siria e porre fine all'infiltrazione di terroristi armati», ha risposto Damasco alla lettera dell'ambasciatore turco. La Siria ha quindi informato i membri del Consiglio di Sicurezza che «le autorità competenti siriane stanno indagando sull'origine di quanto accaduto» al confine. Nella lettera Damasco sostiene di basare le sue relazioni con i Paesi vicini sul rispetto della sovranità territoriale e chiede che questi «facciano altrettanto». Ieri sera il Consiglio di Sicurezza stava ancora discutendo la bozza di dichiarazione di condanna dell'attacco alla città turca di Akcakale. Mosca ha chiesto emendamenti al testo.
In Siria nel frattempo prosegue il bagno di sangue. I morti nelle ultime 24 ore sono stati almeno 87, civili e militari, e tra questi 25 erano membri della guardia repubblicana caduti in un agguato dei ribelli mentre rastrellavano un sobborgo di Damasco. Israele da parte sua si prepara alla eventuale caduta di Bashar Assad e del suo regime. Il capo dell'intelligence militare Aviv Cochavi e altri ufficiali hanno compiuto mercoledì un sopralluogo sulle alture occupate del Golan per valutare da vicino la situazione. L'«erosione» del regime siriano e la «penetrazione crescente di elementi legati alla Jihad mondiale costituiscono una minaccia nuova» ha detto Cochavi.

Il Manifesto - 05.10.12

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