di Manlio Dinucci
La dichiarazione di guerra oggi non si usa più. Per farla bisogna però ancora trovare un casus belli. Come il proiettile di mortaio che, partito dalla Siria, ha provocato 5 vittime in Turchia. Ankara ha risposto a cannonate, mentre il parlamento ha autorizzato il governo Erdogan a effettuare operazioni militari in Siria. Una cambiale in bianco per la guerra, che la Nato è pronta a riscuotere. Il Consiglio atlantico ha denunciato «gli atti aggressivi del regime siriano al confine sudorientale della Nato», pronto a far scattare l'articolo 5 che impegna ad assistere con la forza armata il paese membro attaccato.
Ma è già in atto il «non-articolo 5» - introdotto durante la guerra alla Jugolavia e applicato contro l'Afghanistan e la Libia - che autorizza operazioni non previste dall'articolo 5, al di fuori del territorio dell'Alleanza. Eloquenti sono le immagini degli edifici di Damasco e Aleppo devastati con potentissimi esplosivi: opera non di semplici ribelli, ma di professionisti della guerra infiltrati.
Circa 200 specialisti delle forze d'élite britanniche Sas e Sbs - riporta il «Daily Star» - operano da mesi in Siria, insieme a unità statunitensi e francesi. La forza d'urto è costituita da una raccogliticcia armata di gruppi islamici (fino a ieri bollati da Washington come terroristi) provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi. Nel gruppo di Abu Omar al-Chechen - riferisce l'inviato del «Guardian» ad Aleppo - gli ordini vengono dati in arabo, ma devono essere tradotti in ceceno, tagico, turco, dialetto saudita, urdu, francese e altre lingue. Forniti di passaporti falsi (specialità Cia), i combattenti affluiscono nelle province turche di Adana e Hatai, confinante con la Siria, dove la Cia ha aperto centri di formazione militare. Le armi arrivano soprattutto via Arabia Saudita e Qatar che, come in Libia, fornisce anche forze speciali. Il comando delle operazioni è a bordo di navi Nato nel porto di Alessandretta. Intanto, sul monte Cassius a ridosso della Siria, la Nato sta costruendo una nuova base di spionaggio elettronico, che si aggiunge a quella radar di Kisecik e a quella aerea di Incirlik. A Istanbul è stato aperto un centro di propaganda dove dissidenti siriani, formati dal Dipartimento di stato Usa, confezionano le notizie e i video che vengono diffusi tramite reti satellitari. La guerra Nato contro la Siria è dunque già in atto, con la motivazione ufficiale di aiutare il paese a liberarsi dal regime di Assad. Come in Libia, si è infilato un cuneo nelle fratture interne per far crollare lo stato, strumentalizzando la tragedia delle popolazioni travolte. Lo scopo è lo stesso: Siria, Iran e Iraq hanno firmato nel luglio 2011 un accordo per un gasdotto che, entro il 2016, dovrebbe collegare il giacimento iraniano di South Pars, il maggiore del mondo, alla Siria e quindi al Mediterraneo. La Siria, dove è stato scoperto un altro grosso giacimento presso Homs, può divenire un hub di corridoi energetici alternativi a quelli attraverso la Turchia e altri percorsi, controllati dalle compagnie statunitensi ed europee. Per questo si vuole colpire e occupare. Lo hanno chiaro, in Turchia, i 129 deputati (un quarto) contrari alla guerra e le migliaia di dimostranti con lo slogan «No all'intervento imperialista in Siria». Quanti italiani lo hanno chiaro, nel parlamento e nel paese?
Il Manifesto - 09.10.12