di Marco D'Eramo

Se dopodomani gli europei potessero votare per il presidente degli Stati uniti, Barack Obama sarebbe rieletto con più dell'80% delle preferenze (e più del 90% nell'Europa del nord, secondo un sondaggio riportato dall'agenzia Reuters). Mentre in patria la sorte del primo presidente nero è molto più in bilico e su di lui l'America è spaccata quasi esattamente in due. A parte l'ironia della situazione per cui i diversi paesi europei sono divisi su tutto, tranne su un presidente americano, su cui sono si esprimono a maggioranza bulgara, c'è da chiedersi come mai e perché l'orientamento delle opinioni pubbliche sia così divergente sulle due sponde dell'Atlantico.

L'aspetto più interessante è che questo sbilanciamento riguarda non solo le opinioni pubbliche nel loro insieme, ma anche i loro singoli segmenti. Cioè: i portavoce della finanza europea e della City - Economist e Financial Times - appoggiano (pur senza entusiasmo) Obama, mentre negli Usa Forbes e Wall Street Journal sono fautori sparati del candidato repubblicano Mitt Romney. Ma anche in seno alla sinistra transatlantica vige la stessa asimmetria: per esempio, gli Occupy sono molto più delusi da Obama di quanto lo sia la sinistra radicale europea.
In parte dipende da un effetto distanza, come sosteneva Bernardo Valli su Repubblica. La dimensione simbolica del primo nero alla Casa bianca ha un impatto maggiore là dove è determinante l'immaginario, più che la prosaica esperienza quotidiana.
Ma il discrimine più sostanziale proviene da quel che può essere chiamato «l'effetto Bush». Proprio a George Bush jr. risale il divaricarsi tra opinioni pubbliche: nel 2003 quella europea si schierò in blocco contro l'invasione dell'Iraq, mentre ancora nel 2004 gli americani rielessero a largo margine l'uomo che li aveva trascinati in una guerra sanguinosa e costosa a forza di menzogne sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Perciò più di tutto noi europei temiamo un ritorno a Bush: e proprio questo Mitt Romney rappresenta. Come scrive l'autorevole columnist Martin Wolf del Financial Times: «Mitt Romney è George Bush riscaldato», riproponendo in economia sempre la stessa minestra: meno tasse ai ricchi e più spese militari. E aggiunge: «Romney è come i Borboni: non ha imparato nulla ma non ha scordato niente».
Ma proprio perché ribollita, la ricetta di Romney seduce gli americani perché suona familiare, rassicurante: l'idea che tutti i problemi possano essere risolti permettendo ai ricchi di diventare ancora più ricchi e battendo i pugni sul tavolo con il resto del mondo: la prepotenza paga. Quest'idea rinvia a un'immagine superimperiale, superpotente degli Stati uniti (non per nulla al tempo di Bush andavano forte i paragoni con l'impero romano) che però non corrisponde più alla realtà, che è quella di una bilancia multipolare del terrore e del potere. A noi europei Obama sembra un timoniere magari deludente, ma meglio attrezzato per navigare in questo mondo nuovo.

 

da il manifesto

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