Le esultanze liberatorie dei democratici di Chicago e dei supporter su twitter non ingannino: ha perso Romney. Se è vero che il Presidente Obama si è difeso bene, andando a ottenere una vittoria chiara e prevedibile – negli ultimi 10 giorni i segnali erano chiarissimi, a dispetto della paranoia mediatica creata intorno all’ipotesi pareggio – , è stato Romney, e soprattutto il suo modello di America, a perdere. E più dello scandalo del video del 47%, ha potuto la classe operaia che con Obama non andrà in paradiso, ma che con Mitt sarebbe andata all’inferno (anche se il fatto che Obama sia Marchionne-friendly dovrebbe terrorizzare molti dall’altra parte dell’oceano).
Romney non conquista nessuno, se non i suoi, forse anche per i suoi tentativi finali di moderarsi che hanno disorientato, invece di conquistare i suoi potenziali elettori: i giovani, le donne, i grandi centri urbani e le minoranze non l’hanno mai preso in considerazione.
E in quest’ultimo caso, la partita dell’intera elezione si giocava sull’etnia che sta decidendo le elezioni del nuovo millennio: gli ispanici. Se nel 2000 furono una sorpresa (Al Gore li sottovalutò e lo pagò carissimo, indipendentemente dall’ingiustizia subita in Florida, ad opera della cricca Bush), nelle tre elezioni successive hanno fatto correre di pari passo l’aumento del loro peso demografico con quello elettorale. E culturale.
E Mitt con gli ispanici è andato peggio di Bob Dole, una disfatta totale e inequivocabile. Più che il Forward di Obama, quindi, vale il Rewind dei repubblicani, che a questo punto sono costretti a ripensare – ed è questa la grande vittoria del presidente – il proprio modello sociale, politico, economico e culturale di America. Il più strutturato da decenni, una risposta chiara, durissima e aggressiva alla crisi mondiale, e non solo americana.
Una risposta che, senza se e senza ma, e al di là dei numeri apparentemente risicati, è stata bocciata dagli statunitensi. Ora sta a Obama prendere per mano un’America divisa, lacerata (basta guardare la cartina di ogni singolo stato, per capirlo) e giocarsi tutto sul secondo mandato, quello che può consegnarlo alla Storia o relegarlo all’etichetta di grande delusione. Ai rossi rimane “solo” la camera dei rappresentanti (miliardi spesi nella campagna elettorale hanno gattopardescamente congelato la situazione pregressa), a Barack quattro anni (e soprattutto gli ultimi due) da vivere pericolosamente e possibilmente alla grande.