di Franco Frediani
Ormai non fa più notizia, tanto che sembra quasi "una cosa normale", ma nella Striscia di Gaza si continua a morire! Tra giovedì 8 e domenica 11 novembre, 7 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco delle armi israeliane. La cronaca parla di vittime civili, giovanissime, tra le quali un ragazzino di 13 anni, Ahmed Younis Khader Abu Daqqa, ucciso mentre stava giocando a pallone con i suoi amici nel villaggio di 'Abassan, a est di Khan Yunis; una lista "irricivebile" che si allungherà nel pomeriggio di sabato 10, con l'aggiungersi di altre quattro giovani vite: Mohammed Ussama Hassan Harara (16 anni), Ahmed Mustafa Khaled Harara (17), Ahmed Kamel Al- Dirdissawi (18 anni), e Matar ‘Emad ‘Abdul Rahman Abu al-‘Ata di 19 anni.
La loro unica colpa è stata quella di trovarsi in quel "pericoloso obiettivo militare" rappresentato dal campo di calcio "Mentar Hill", quando, dai veicoli dell'esercito con la stella di David, disposto al confine tra la Striscia e Israele, veniva aperto il fuoco dell'artiglieria. Come se non bastasse, gli aerei da guerra israeliani hanno completato l'opera, e tra sabato e domenica hanno aumentato il "lauto bottino" uccidendo due membri della resistenza palestinese, Mohammed Fu’ad ‘Obaid (22 anni), e Mohammed Sa’id Shkoukani di 18. A questi devono essere aggiunti altri 52 feriti, comprese 6 donne e 12 bambini. Più che probabilmente, nessuno si ricorderà mai dei nomi di questi ragazzi, ma ci premeva riportarli non per una sorta di vezzo informativo, quanto per sottolineare l'essenza della vita, l'esistenza caratterizzata da un nome e un cognome, quasi sempre lungo, tipico di quella cultura e di quei Popoli, che si è spenta, spezzata in modo brutale, improvviso e senza un motivo che possa valere una spiegazione riconducibile a qualcosa di UMANO! Le motivazioni(?) israeliane parlano di una risposta all'attacco condotto sabato scorso dalla resistenza palestinese contro un veicolo militare dello stesso esercito israeliano. Stabilire nel caso specifico se ci può essere una ragione plausibile per l'inasprimento di questa violenza è ovviamente difficile, (come sempre in questa annosa guerra) ma sicuramente non può che riportare all'argomento dell'amplificazione della risposta. Quattro militari armati fino ai denti e rimasti feriti in un attacco "nemico", possono giustificare l'uccisione di 7 giovanissimi ed il ferimento di altre 52 tra cui donne e bambini? Proprio Israele adotta questo sistema di rappresaglia inducendoci al ricordo di altre "tragiche epoche"? Ma la questione è comunque da approfondire in tante altre direttrici. In apertura abbiamo parlato di una sorta di "indifferenza", di qualcosa che porta persino i mezzi di comunicazione a non occuparsi più di questi tragici fatti. Si cerca di liquidare il tutto con un metodo semplicistico allucinante. Si cerca di trovare torti e ragioni che sviano sul dato di fatto più importante: la sproporzione delle condizioni e dei mezzi a disposizione delle "due parti in conflitto". Come afferma su Il Fatto Chantal Meloni, Ricercatrice e docente di Diritto penale internazionale, "Le due parti in conflitto non sono pari, e come tali non possono essere trattate, neanche dal punto di vista del diritto". Questo Israele l'ha sempre saputo, e si è comporta di conseguenza da sempre, in virtù di una tacita "benevolenza", per non dire complicità, della comunità internazionale. Se l'ONU non si pronuncia mai a favore di risoluzioni che portino ad un reale risultato in quella regione Mediorientale, la stessa UE non è mai stata da meno, dimostrando di avere un peso che definire scarso è davvero riduttivo; tra l'atro un'assenza di impegno probabilmente "voluto" (o "consigliato"..). Come riporta la stessa Agenzia di stampa per la Palestina, "Le Nazioni Unite hanno accusato Israele di ostacolare gli sforzi per la ricostruzione della Striscia di Gaza e hanno chiesto di porre fine all’assedio, ma quanto può essere credibile questa "presa di posizione" se non è appoggiata dal suo maggiore azionista, gli States di Obama? Sempre InfoPal, riporta che " Il quarto Comitato generale delle Nazioni Unite ha affermato che il compito di ricostruire la Striscia di Gaza è diventato più difficile per l’Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione) perché Israele è riluttante ad approvare proposte di progetti presentate dall’agenzia". Resta il fatto che lo sguardo è rivolto all'Iran, che può far paura per lo sviluppo della sua produzione di energia atomica (convertibile in "bomba"?), e non verso chi, ogni giorno, muore come un topo rimasto chiuso in una trappola "stretta e lunga" come la Striscia. Se per qualcuno, ormai, questa storia suona come un disco rotto, provi a riflettere e si ponga qualche interrogativo... C'è ben altro dietro al trattamento di favore che lo stato di Israele riceve, e non è certo riconducibile a ragioni etiche o morali. La potenza e la forza militare di questo "piccolo" stato è tale da collocarlo tra i primi al mondo, figuriamoci se può aver bisogno di aiuti o favori; senza dimenticare poi, che i favori non sono mai fatti "senza nulla chiedere". Potentati economici e finanziari, industria bellica, forza militare potente, sofisticata e logisticamente ben collocata: tre buoni motivi per garantire una copertura assicurativa di primordine. Altro che Diritto internazionale!