di Franco Frediani
Il cessate il fuoco è finalmente arrivato anche a Gaza. Quanto possa durare, se c'è la volontà di renderlo permanente, o altro ancora, è davvero difficile a dirsi. All'improvviso dunque, ecco spuntare il "miracolo"! Non ci dilungheremo sui punti dell'accordo, che ormai appartengono ad una cronaca letta e riletta. Oltretutto non c'è traccia di qualcosa di "clamoroso" o di impensabile, né tanto meno di sorprendente. Sarebbe come descrivere la scena di due bambini che, dopo essersi presi a sberle, promettono davanti alla maestra di non farlo più; tanto che verrebbe da chiedersi, qualora fosse possibile giustificare una guerra, il perché di tante atrocità commesse per poi ritrovarsi allo stesso punto di partenza.
E' accettabile che sia così? Si può davvero gioire nonostante l'incertezza che aleggia sulla sospensione di un massacro che potrebbe riprendere da un momento all'altro, vista l'assenza di elementi di garanzia presentati? Molto sinceramente,troviamo assai difficile liquidare questo ciclone di violenza senza riflettere sui tanti motivi che l'hanno generato. Siamo pure consapevoli del fatto che occorre prudenza prima di lanciarsi in riflessioni e analisi di ogni tipo; la vita umana è talmente importante da valere questo genere di accortezza. Potremo consigliare la lettura dell'articolo di Mehdi Hasan (Political director of The Huffington Post UK), dove lo stesso autore riporta le "Dieci cose da sapere su Gaza". Dieci "punti" spiegati con lucidità e realismo da renderli indiscutibili. Tuttavia, anche in questa circostanza, non si affrontano le ragioni che stanno ben più a monte degli eventi che finiscono ogni volta per essere strumentalizzati, utilizzati per creare due fazioni opposte, antitetiche, tanto da respingersi fino a farsi percepire come una sorta di squallido equilibrio. La storia di questa pluridecennale "Questione", si origina da un contorno ben più complesso di una "semplice" contesa "territoriale". Quindi non prendiamoci in giro e non rispolveriamo ogni volta la teoria degli estremismi. Crediamo forse che la comunità internazionale, con gli Stati Uniti in testa, qualora volesse non sarebbe in grado di imporre una vera pace? Pensiamo davvero che ciò che è accaduto a Gaza non poteva essere evitato? Si sprecano le etichette per giustificare azioni ignobili che hanno una matrice occulta, oscura e ben più lontana dalle tesi riduttive che vengono dispensate in circostanze simili. Odio, fondamentalismo e ortodossia religiosa, altro non sono che un mezzo nelle mani di avidi quanto ambiziosi e interessati pupari! Oggi come oggi, basta poco per scatenare l'inferno, ed altrettanto per mantenerlo acceso. Basti pensare a come il conflitto si è mantenuto vivo anche fuori dai suoi confini naturali. Il sistema propagandistico delle due parti in causa si è impossessato degli strumenti comunicativi maggiormente frequentati per conquistare attenzione e consensi. Il conflitto ha varcato i suoi confini reali ed ha raggiunto con facilità gli stessi social network; ha coinvolto persone lontane, influenzando il loro giudizio, rendendole partecipi di quanto stava accadendo, ma anche falsificando una realtà che per tanti è finita per sembrare ciò che non era. Si è quindi combattuto anche una sorta di guerra virtuale; con Israele, che "offriva" all'opinione pubblica mondiale la "possibilità" di sostenere le sue ragioni, mentre da Gaza si alzava ovviamente l'attenzione (che forse ha evitato conseguenze ancora peggiori..) su quanto stava accadendo... Eppure c'è qualcosa di molto "vecchio" in tutto questo! Il ricordo di altri tragici momenti storici è riaffiorato con prepotenza. Anche allora la propaganda servì per indirizzare e condizionare le masse; ed anche allora non si contavano le atrocità e le vittime! Nella selva di "ashtag" (#) presenti su Twitter, uno in particolare può darci il senso dell'obiettivo da raggiungere: "Tutti i bambini di ogni regione del mondo hanno diritto ad essere protetti dalla guerra, senza alcuna distinzione. #GazaNoWar. Un “twitter” che chiede ovviamente la pace. Già... ma quante guerre si sono combattute in nome del raggiungimento della pace? Dobbiamo dunque pensare che sia un termine relativo? Forse no, ma occorre fissare almeno dei paletti inamovibili perché non lo sia, e tra questi occorre privilegiare il diritto all'autodeterminazione dei popoli, la riduzione delle disuguaglianze ed un ridimensionamento della forbice tra ricchezza e povertà. Bé, proviamo a vedere se qualcuna di queste "condizioni" è presente nella Striscia di Gaza dove vivono circa 1,7 milioni di persone, con una densità abitativa tra le maggiori nel mondo (più di Singapore e Hong Kong) pari a 4.500 abitanti per km quadrato. Da sottolineare che più della metà della popolazione ha meno di 18 anni e che circa il 38% degli abitanti vive sotto il livello di povertà - rilevamenti ONU – con il 56% degli abitanti che vive in condizioni nutrizionali assolutamente non adeguate. C'è da chiedersi se qualcuno ha mai riflettuto su questi dati!? Non è poi difficile intuire quindi il motivo dell'attenzione che gli stessi israeliani hanno riposto nel costruire una propaganda che li mettesse al riparo dalla critica. Ma peggio ancora, e sicuramente meno comprensibile, si è rivelato il pilatesco atteggiamento di una comunità Internazionale che prima di muoversi ha dovuto aspettare che il bollettino di guerra portasse in dote 147 vittime e più di 1000 feriti, la maggior parte dei quali giovani e bambini.