121127palestinadi Franco Frediani
Avevamo ragione nel sottolineare l'importanza della decisione presa dall'Assemblea dell'ONU di legittimare la Palestina come stato osservatore della stessa Organizzazione. Il suo significato era ben chiaro anche per lo stesso stato israeliano, che da tempo aveva annunciato il suo secco e inoppugnabile NO. Le certezze di Israele stanno vacillando, e lo dimostra ciò che è emerso dalla riunione del suo governo che ieri (2 dicembre,ndr) si è riunito a Gerusalemme.

La posizione israeliana è apparsa subito dura, tanto da lanciarsi in dichiarazioni incredibili: "il popolo ebraico ha un naturale, storico e legale diritto nei confronti della sua terra natale e di Gerusalemme come sua capitale. La risoluzione non servirà come base per futuri negoziati né fornisce una via per una soluzione pacifica". Si avverte chiaramente l'intenzione di non riconoscere alcun tipo di percorso diplomatico che porti a soluzioni pacifiche. Ancora una volta si percorre la via della rappresaglia e del muro contro muro. La conferma ci viene data dalle stesse affermazioni di Dore Gold, ex consigliere di Nethanyahu: “I palestinesi sono oggi in una posizione più forte per prendere, in futuro, tutta una serie di inziative. Ad esempio, possono rivolgersi alla Corte penale internazionale e formulare accuse all’indirizzo dei militari israeliani. E poco importa se sono accuse senza fondamento, come è avvenuto in passato. Ma se sfrutteranno il loro nuovo status in modo ostile, allora Israele prenderà misure severe nei confronti dell’Autorità palestinese”.  Anche David Walzer, ambasciatore israeliano presso l'Unione europea, lancia strani quanto inequivocabili segnali nel corso di un'intervista rilasciata a James Franey di Euronews. L'ambasciatore non conferma né si sbilancia, ma fa capire che la ritorsione ci sarà e colpirà il Popolo palestinese attraverso forme non cruente ma altrettanto devastanti. A definire la mappa delle intenzioni bellicose di Israele sarà ancora (e sempre..) lo stesso Nethanyahu: "continueremo a costruire a Gerusalemme e in ogni luogo della mappa degli interessi strategici dello stato di Israele". Sicuramente il primo (e duro) colpo verrà proprio dal blocco di 460 milioni di shekels - circa 92 milioni di euro - che rappresentano le tasse raccolte da Israele per l'ANP.  Si tratta di milioni di euro derivanti dalle tasse destinate ai mercati palestinesi e fatte passare dai porti israeliani. Esiste un protocollo stabilito a Parigi nel 1994 al quale lo stato ebraico è intenzionato a disattendere adducendo la "scusa" di una nuova tassa per pagare il debito palestinese con la Israel Elettric Corp. Da questo è facile capire come Israele sia disposto a mettere in pratica ogni mezzo "persuasivo" pur di colpire le risorse vitali al funzionamento dello stato palestinese... Verrà fatto contro ogni regola, condivisa o meno non fa differenza, costi quel che costi! Come si può ben vedere le armi non sono l’unico modo attraverso il quale si combatte questo conflitto. I siti di notizie israeliani Ynet e Haaretz, riportano la volontà del loro governo di accelerare sulla costruzione di 3000 case per i nuovi coloni, a conferma delle intenzioni palesate dallo stesso Nethanyahu. La situazione sembra non essere "gradita" neppure dal dipartimento di stato americano, tanto che Washington ha criticato la decisione: “Ribadiamo la nostra opposizione di lunga data agli insediamenti e la costruzione a Gerusalemme Est”, è stato dichiarato e successivamente riportato dal New York Times. “Crediamo che questo sia controproducente e renda più difficile riprendere i negoziati diretti e raggiungere il risultato dei due stati”.  La soddisfazione per il risultato raggiunto da Abu Mazen continua ad alimentare la speranza del popolo palestinese. Lo stesso Abu Mazen punta decisamente alla riconciliazione delle fazioni palestinesi ancora oggi divise: "La riconciliazione nazionale è necessaria per raggiungere la liberazione dell'occupazione israeliana e nei prossimi giorni verranno fatti dei passi per la riunificazione di tutte le altre fazioni fazioni palestinesi". Intanto, nel deserto della diplomazia europea, la notizia dei piani israeliani che porterebbero alla costruzione dei 3000 alloggi per i coloni, è riuscita a produrre segni di timida vitalità.  Catherine Ashton, capo della diplomazia europea, non ha mancato di invitare Israele a recedere dall'intento: "L'Ue ha ripetutamente affermato che l'espansione degli insediamenti è illegale secondo il diritto internazionale", ha infatti dichiarato la stessa Ashton, chiedendo al governo israeliano di "mostrare il suo impegno per una ripresa dei negoziati di pace non perseguendo questo progetto". Il percorso di pace si mostra quindi lento e pieno di insidie, tra le quali spicca l'ormai ferreo legame che Obama e la Clinton hanno rinsaldato con il piccolo ma agguerrito stato ebraico; ma è anche vero che l'America di Obama, non sembra avere più quella forza autoreferenziale che una volta la contraddistingueva, specialmente in politica estera.

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