di Giuseppe Grosso
«La contraddizione capitale/lavoro è il nodo fondamentale della crisi. Bisogna pertanto contrastare l'egemonia del neoliberismo innanzitutto a livello ideologico». Questa è l'opinione di Cayo Lara, appena riconfermato all'unanimità coordinatore federale di Izquierda unida (Iu). Il partito di sinistra radicale («ma sarebbe più corretto definirlo "movimento"») ha appena celebrato il suo decimo congresso, nel quale sono stati definiti i ruoli, le linee politiche e le prospettive della sinistra alternativa spagnola «nel momento più difficile della storia democratica del paese».
Da questo meeting - celebrato in una Spagna in balia del neoliberismo del Partido popular
e prostrata dalla stretta sempre più soffocante della crisi - è uscita una formazione politica rafforzata, consapevole del suo ruolo di catalizzatore e di aggregatore politico dei movimenti sociali e della sinistra anticapitalista. «Siamo la Syriza spagnola», ha dichiarato recentemente Lara, 61 anni, agricoltore di professione e dal 2008 alla guida di Izquierda unida, che sotto la sua guida ha conquistato quasi il 7% e 11 seggi alle ultime politiche. Esponente della corrente del Pce all'interno di Iu, Lara ha impresso con la sua direzione un'apertura verso tutti i settori del movimento e della società civile.
L'Europa è scossa da una recessione economica politica e sociale. Quali sono i progetti e le battaglie sulle quali le forze di sinistra si dovrebbero concentrare per superare la triplice crisi che sta attraversando il nostro continente?
Il superamento di questa condizione richiede un paziente lavoro su due piani: quello europeo e quello nazionale. Da una parte bisogna battersi per un'Europa solidale e focalizzata sulla questione del lavoro; dall'altra, in ambito nazionale, è necessario elaborare forme di ribellione democratica contro i tagli allo stato sociale imposti dalla troika e dal capitale. Del resto la contraddizione capitale/lavoro è il nodo fondamentale (benché non l'unico) della crisi: la costruzione di un'alternativa di sinistra a questo modello socio-politico passa necessariamente attraverso il suo scioglimento. Bisogna pertanto contrastare l'egemonia del neoliberismo innanzitutto a livello ideologico e agire contemporaneamente sul piano concreto. Nello specifico, le battaglie più urgenti vanno combattute accanto ai sindacati a tutela del lavoro e contro lo smantellamento del settore pubblico, facendo tesoro dell'esperienza del movimento operaio. Izquierda unida ha appoggiato i tre scioperi generali convocati in Spagna dallo scoppio della crisi e ha partecipato a tutte le mobilitazioni in difesa del welfare. Ma non ci accontentiamo di essere solamente una voce di protesta: per noi è fondamentale essere presenti nella contestazione, ma consideriamo che sia altrettanto importante definire una parte propositiva: a livello nazionale faremo pressione per una riforma fiscale equa, una razionalizzazione della spesa pubblica e una lotta meticolosa contro l'evasione fiscale e la privatizzazione dei servizi statali. Su queste premesse siamo convinti di poter costruire un sistema di aiuti alle piccole e medie imprese e ai liberi professionisti e favorire così la creazione di posti di lavoro.
In alcuni paesi europei (tra cui la Spagna) il legittimo malcontento della popolazione si sta traducendo in una pericolosa recrudescenza dell'ideologia nazionalista. Si tratta di un rischio concreto per la stabilità del continente?
Effettivamente esiste il rischio di un ritorno dell'ideologia nazionalista, fomentata dalle destre e da altre forze disgreganti che insinuano l'idea che l'uscita dalla crisi possa avvenire più facilmente nelle zone più ricche. Questa è una grossolana menzogna su cui i nazionalisti fanno leva per poter anteporre la loro bandiera e i loro interessi alle misure e alle politiche che la situazione di crisi renderebbe davvero prioritarie.
Lo scorso novembre si è potuto assistere ad una timida ma importante mobilitazione europea dei sindacati, anche se il cammino verso una lotta politica comune a livello continentale resta ancora lungo. Quali sono le linee per la costruzione di un'iniziativa politica comune che superi i confini dei singoli paesi?
La mobilitazione continentale dello scorso novembre, che in Spagna ha assunto la forma di un grande sciopero generale di 24 ore, è un primo passo molto positivo. D'altra parte è vero che non si è ancora giunti all'elaborazione di una risposta unitaria alla situazione europea: i paesi tendono a reagire singolarmente in base agli effetti locali della crisi e all'interpretazione autonoma che ne dà ogni stato. E invece sarebbe importante avanzare verso l'unità della sinistra europea e tessere una proposta di rifondazione della Ue accompagnata dell'elaborazione di un'alternativa politica ai piani di restaurazione del capitalismo che il mondo della finanza e del capitale e la troika vogliono imporre. A questo proposito sarebbe fondamentale che le forze di sinistra si dotassero di un programma comune. Una necessità tanto più urgente se si considera che - come Iu ha rilevato fin dall'inizio - il continente è attanagliato da una crisi non soltanto finanziaria, bensì sistemica, globale e profonda, che investe tutti i cittadini europei e che per questo deve essere contrastata con un'opposizione compatta a livello internazionale.
La Ue ha ricevuto un premio Nobel per la Pace molto controverso, visto il suo appoggio o addirittura presenza a vari conflitti nel mondo. In che maniera l'Europa potrebbe davvero essere un agente di pace?
Più che controverso, direi ironico. Molti paesi dell'Unione fanno parte della Nato e applicano, secondo convenienza, politiche di intervento militare; chi difende l'assegnazione del Nobel si è probabilmente dimenticato della guerra dei Balcani, tanto per citare un conflitto sanguinoso al quale la Ue non è estranea. Anche in questo caso un'inversione di rotta presuppone una volontà comune. Sarebbe importante che il nostro continente raggiungesse una linea condivisa anche sul terreno della politica internazionale: una linea che deve necessariamente passare per punti fermi della pace e della solidarietà. In questo orizzonte il riconoscimento dei diritti del popolo palestinese dovrebbe essere un obiettivo prioritario, sempre rimandato, invece, dalla goffaggine dei governi europei e dalla diffusione di un pericoloso atteggiamento neoimperialista, che ha mostrato i suoi muscoli in Libia e in Siria. L'Europa potrà essere un'agente di pace a livello mondiale solo se saprà ridefinire il suo modello di relazioni internazionali, rivendendo soprattutto i rapporti economici e commerciali tra la Ue e gli altri paesi sulla base del rispetto della sovranità delle popolazioni e del riconoscimento dei reciproci interessi.
Come considera i movimenti sociali e che peso gli attribuisce nello scenario politico attuale?
I movimenti stanno svolgendo un ruolo di primo piano nelle lotte sociali e hanno innescato e fomentato un importante processo di ripoliticizzazione di una parte significativa della società civile. Va però aggiunto che essi hanno bisogno di un soggetto politico che porti nelle sedi ufficiali le loro istanze e traduca in iniziative legali le loro rivendicazioni ed è proprio questo il ruolo che Iu deve svolgere. D'altra parte la stessa natura di Izquierda unida (a sua volta movimento composto sia da partiti sia da esponenti dei vari collettivi) ci colloca in una posizione di prossimità e convergenza rispetto a tutto il panorama dei movimenti sociali.
La Ue rappresenta in questo momento un appoggio e un'opportunità di crescita per i paesi più colpiti dalla crisi o è un ostacolo a una possibile uscita da questa situazione?
Attualmente la Ue, dominata dagli interessi del capitale, è un freno all'applicazione di quelle misure che potrebbero aprire un varco verso l'uscita dalla crisi. Tutto ciò che viene deciso nel seno delle istituzioni europee, lungi dal fornire una risposta alle emergenze di questa situazione, sta facilitando un'epocale travaso di ricchezza dai salari al capitale e sta erodendo le conquiste dei lavoratori, contribuendo ad un generale arretramento della democrazia. Una dinamica che si inserisce nel modello di Europa concepito e avallato dalle forze conservatrici di tutto il continente. Le sinistre devono pertanto lottare per la costruzione di un'altra Europa, più sociale e più concentrata sugli interessi dei suoi cittadini.
Benché in diversa misura, i tagli incidono in tutta l'Ue sugli stessi settori: sanità, welfare, istruzione. Inoltre la tendenza è quella di consegnare questi servizi ai privati. Stiamo assistendo alla fine dello stato sociale in Europa? Che cosa può fare la sinistra per contrastare questa dinamica?
Il mondo della finanza e del capitale vuole far leva sulla congiuntura economica per radicalizzare il modello capitalista e sta approfittando della crisi per trasformare in merce i servizi sociali, consegnandoli come tali nelle mani del mercato. Il cosiddetto stato sociale (di cui la Spagna ha conosciuto comunque solo un pallido riflesso), è la vittima che deve essere sacrificata sull'altare del nuovo capitalismo. Il compito della sinistra radicale europea deve essere, dunque, quello di difendere le conquiste storiche del welfare state e allo stesso tempo superare questo modello di stato sociale, dato che ormai - a causa della negazione del patto sociale opposta dal neocapitalismo - non è possibile recuperarlo nelle sue forme originarie. Anche per noi «crisi» deve significare «opportunità»: opportunità di intraprendere un processo di profonda trasformazione sociale.
da il manifesto