di Iside Gjergij
Il presidente del Portogallo, Aníbal Cavaco Silva, ha spiazzato non pochi quando, durante il tradizionale messaggio di fine anno, ha annunciato di voler chiedere l’intervento della Corte Costituzionale sull’ultima legge finanziaria approvata dal parlamento, in quanto vi sono “legittimi dubbi circa la correttezza nella distribuzione dei sacrifici tra i cittadini”. E’ stato duro, inoltre, il monito lanciato dal presidente portoghese contro le misure di austerità imposte dalla Troika, le quali avrebbero prodotto, secondo Cavaco Silva, “un calo della produzione e delle entrate fiscali”.
L’intervento del presidente Cavaco Silva ha sorpreso un po’ tutti, anche perché era stato proprio lui a firmare la legge finanziaria, che ora sospetta di incostituzionalità, il 28 dicembre scorso, senza peraltro esprimere alcun dubbio in merito. Fatto, questo, che non hanno mancato di sottolineare le forze di opposizione e, in particolare, il maggiore sindacato del paese. Cavaco Silva, però, si è difeso sostenendo che sarebbe stato da irresponsabili non firmare la legge finanziaria, in quanto avrebbe così privato il paese del più importante strumento di programmazione economica e finanziaria.
Al di là, però, del comportamento schizofrenico di Cavaco Silva, i dati da rilevare qui sono due: a) le misure di austerità stano spingendo il Portogallo verso quella terribile spirale in cui è già finita la Grecia, fatta di austerità, disoccupazione e recessione senza fine; b) il governo di Pedro Passos Coelho potrebbe avere i giorni contati, essendo rimasto ormai isolato e con pochi margini di manovra.
Contro la legge finanziaria, infatti, oltre al presidente Cavaco Silva, stanno presentando ricorsi alla Corte Costituzionale tutti gli altri partiti di opposizione. Alcuni insieme e altri separatamente. Queste azioni delle forze di opposizione sono anche dettate da una sempre maggiore pressione sociale. La rabbia popolare cresce infatti ogni giorno di più e proprio ieri, Arménio Carlos, segretario generale del CGTP, il più grande sindacato del paese, ha convocato per il 16 febbraio prossimo una giornata nazionale di lotta per “chiedere le dimissioni del governo” e “nuove politiche volte a garantire la crescita economica del paese”. Tra le varie richieste avanzate dal sindacato spicca quella sull’aumento del salario minimo. Non bisogna dimenticare, infatti, che il salario minimo in Portogallo è uno dei più bassi dell’Unione europea: 431,65 euro. L’attuale proposta del sindacato è di portarlo a 515 euro.
Nel corso del 2012, il tasso di disoccupazione in Portogallo è passato dal 13,7% al 16,3% (870.900 disoccupati) e la disoccupazione giovanile è salita al 39%. Tutto questo prima ancora che le più pesanti misure di austerità, approvate con l’ultima legge finanziaria, entrino in vigore e provochino qualche effetto concreto. Le aliquote medie delle imposte sul reddito aumenteranno fino a 3,4% nel 2013 e nuove tasse sono state introdotte al fine ridurre il deficit di bilancio al 4,5%.
Mentre i lavoratori portoghesi vengono schiacciati dalla disoccupazione, dalla guerra tra poveri, dalle tasse e dai salari da fame per pagare gli interessi del finanziamento di 78 miliardi concesso dalla Troika, c’è chi invece si arricchisce. La classifica stilata dall’agenzia di elaborazione economica Bloomberg e dall’Effas (European Federation of Financial Analysts Societies) ha da poco rivelato che gli investimenti nei titoli di stato portoghesi hanno registrato nell’ultimo anno un rendimento record del 57%, il più alto in Europa, quasi il doppio del rendimento dei titoli di stato irlandesi (29,3%) e italiani (20,75%). I primi beneficiari, manco a dirlo, sono state le banche portoghesi.
da Il Fatto Quotidiano