di Roberto Musacchio
Al centro di Buenos Aires c’è il BAUEN, un albergo che è un simbolo, anzi un doppio simbolo. Era l’albergo del regime, inaugurato nel 1978, in piena dittatura militare, per i Mondiali di calcio. Ora, da dieci anni, è una delle esperienze più particolari delle “ recuperate “, cioè quelle fabbriche e quelle imprese che, “ abbandonate “ dai loro padroni, sono state occupate dai lavoratori e dalle lavoratrici e vengono sostanzialmente autogestite. Il BAUEN è una impresa quanto mai particolare, essendo un grande albergo di quasi una ventina di piani.
A lavorarci adesso sono in 150 persone, molte di più della ventina iniziale che diede il via alla lotta. La storia dell’albergo si intreccia con quella di questi anni della Argentina, compresi i complessi connubi di interessi speculativi tra regime ed impresari.
Fino alla chiusura e poi alla occupazione, per salvarlo, nel marzo del 2003. I compagni ci parlano della loro esperienza mentre ci mostrano i tanti materiali prodotti nella lotta e ci accompagnano a visitare la struttura. Che ospita anche una sala da Teatro, dove si svolgono spettacoli autogestiti, l’ultimo dei quali è stato dedicato a Sacco e Vanzetti, per cui parliamo loro dell’esperienza italiana del Teatro Valle. Ci sono poi una mensa per chi lavora, le stanze dedicate alla cooperativa di gestione e alla organizzazione di rappresentanza della cooperazione argentina del lavoro, la CNCT. E c’è il salone per il ballo, una sala per le colazioni, una piscina, non in uso.
La struttura è perfettamente funzionante infatti, ma avrebbe comunque bisogno di importanti investimenti. E’ uno dei temi in discussione nella cooperativa stessa e che si intreccia con la questione della “ sicurezza “ del futuro della attività, visto che è ancora aperta la causa sulla proprietà e di come legalizzare definitivamente ciò che è già legittimo, e cioè l’autogestione. Questione che riguarda non solo il BAUEN ma le molte altre recuperate che in Argentina sono impegnate sui terreni più diversi, da quello della produzione di latte e formaggi a quello dei materiali edili.
Si sta discutendo con la “ politica “ di una legge che codifichi in modo specifico la forma propria delle recuperate e che risolva definitivamente tutti gli aspetti legali inerenti alla proprietà ed alle forme di gestione. Una discussione, quella con la “ politica “, assai aperta in una realtà come quella Argentina, ma come in tutta la nuova America Latina. Che non cancella però quella interna alle esperienze autogestionarie e in particolare sulle forme della organizzazione del lavoro, sulla sua qualità, sulla sua remunerazione, sul rapporto tra remunerazione ed investimenti. Discussione importante perché fa parte di quella nuova valenza dei movimenti sociali che è l’altra faccia delle nuove esperienze di Governo.
Ed è per altro una discussione di massa, decisiva per l’egemonia. Sia perché determina il grado di convinzione della base popolare che rende possibili le maggioranze progressiste. Sia perché è il terreno di “ scontro “ con le classi della borghesia che accusano ad esempio la Cristina Kirchner, la Presidente, di “ politiche assistenzialistiche che fanno venir meno la voglia di lavorare ed accrescono la inflazione “.
Naturalmente l’Argentina ha la sua peculiarità politica, che è quella dell’onnipresente peronismo. La Cristina non sfugge a questa storia. Ma i compagni che incontriamo prevalentemente sono propensi ad esprimere un giudizio che sottolinea le positività del suo agire. Tra queste c’è l’attenzione alle questioni sociali che si manifesta con il dialogo aperto con le recuperate, il piano di Argentina trabaja per la creazione di lavoro, il recupero sistematico dell’inflazione con la “ paritaria “, la scala mobile argentina, e molte altre attività. Naturalmente non si può dire che la Cristina esprima una posizione di cambiamento in senso socialista, ma tiene aperta con convinzione la dialettica sociale e favorisce gli elementi più deboli.
Fa parte di questo punto di vista utile ad una dinamica sociale e politica positiva proprio un giudizio sulla inflazione che ormai si fa fatica a trovare in Europa, anche a sinistra. L’inflazione, per altro in parte anche un poco mascherata, non viene considerata il pericolo principale che sono invece la disoccupazione e la povertà. Nelle varie discussioni che abbiamo affrontato mi sembrava di ritrovare gli elementi che appartenevano alle nostre riflessioni italiane, ed Europee, negli anni ’70. L’inflazione cioè come un portato del conflitto aperto per la redistribuzione dei redditi e che non doveva essere combattuta intervenendo dalla parte dei redditi, men che meno di quelli bassi, ma da quella delle dinamiche speculative. In Italia e in Europa si è fatto l’esatto contrario. Con il risultato di aver contratto i redditi e il welfare, conquistati anche nella fase inflazionistica. Di aver favorito sia l’aumento della quota parte del prodotto che va ai profitti ed alle rendite sia la crescita delle diseguaglianze. Di aver lasciato mano libera alla speculazione finanziaria che si è fatta vero e proprio potere dominante la scena europea dei nostri gironi.
La Cristina prova a praticare politiche di contenimento della speculazione ricorrendo da ultimo anche a forme come la recente nazionalizzazione della spagnola REPSOL, condizionando il capitale straniero alla reimpiego degli utili. E limitando anche la circolazione del dollaro, in forme che possono penalizzare però gli stessi cittadini nella loro libertà di movimento. Sta di fatto che crescono nei suoi confronti le accuse delle opposizioni di avvicinarsi alle posizioni estreme di Chavez.
Di Chavez per altro si parla molto nelle televisioni per la sua malattia e lo scontro aperto in Venezuela. Lo si fa con una attenzione e un approfondimento che manca qui in Italia e che invece segnala una delle caratteristiche della nuova stagione latino americana e cioè quella del comunque provare a tenersi insieme delle varie esperienze per quanto diverse e, a volte, confliggenti. Cosa che si vede anche “ turisticamente “ dalla mostra allestita negli spazi di ingresso della Casa Rosada con i dipinti che ritraggono i tanti eroi della libertà e della giustizia sociale dei vari Paesi del Latino America , da Sandino ,al Che, a Romero, a Bolivar, donati all’Argentina per i 200 anni della sua indipendenza dai molti Presidenti progressisti.
Non c’è dubbio, per me, che il conflitto sociale aperto, e il peso della globalizzazione liberista, richiederebbero un ulteriore passo in avanti in una integrazione continentale progressista e cioè fatta su linee opposte a quelle perseguite per l’Unione Europea. Ma non è facile a farsi. Intanto il tenersi assieme è importante anche perché ciò che sta succedendo in Paraguay e in Honduras , cioè i nuovi golpe, dimostra che è bene che l’attenzione democratica resti alta.
Attenzione democratica che è tenuta alta sempre da quelle straordinarie eroine che sono le Madri di Plaza de Majo. Incontriamo Nora Cortinas una delle loro fondatrici che ha ormai 82 anni, ma ha il fuoco dentro. In lei il dolore per il figlio desaparecidos in quei terribili anni della dittatura alimenta una forza democratica e civile inestinguibile. Sono anche un po’ divise tra loro, le Madri, sul rapporto da tenere con il governo e Nora ci tiene alla indipendenza del Movimento. Ma ogni giovedì , sempre e tutte, sono in piazza. Lei poi è in partenza per il Kurdistan per incontrare le Madri di quel conflitto. Ed è in lotta permanente per la verità e la giustizia. Con la Cristina per altro si è aperto un varco con l’annullamento della amnistia concessa ai torturatori e ai genocidii.
Come un varco si è aperto con l’introduzione delle nozze per gli omosessuali, cui Nora plaude. E vorrebbe anche, per le donne, il diritto di aborto, che invece ancora viene negato. E si occupa anche di temi sociali impegnata come è nelle associazioni per il riconoscimento della illegittimità del debito.
Proprio dalla contestazione del debito, e del potere strabordevole dell’FMI, oltreché degli USA, nascono le rotture democratiche che hanno permesso questi ormai 20 anni di rinascenza Latino Americana. Proprio il tragitto inverso di quello compiuto da noi in Europa e che ci ha portato fino al Fiscal Compact. Ne parliamo con le compagne e i compagni italiani che vivono lì. In una Argentina dove gli italiani sono tantissimi e tanti continuano ancora ad arrivare. “ Avevo ragione io - ci dice Amalia Rossi, della FILEF, la storica federazione italiana lavoratori all’estero e famiglie, che sta in Argentina dal ’50 – quando sostenevo tanti anni fa che era sbagliato pensare che la questione della immigrazione sarebbe finita per la morte dei vecchi immigrati. Invece ci sono i figli e ci sono i giovani che arrivano, per restare un poco o anche per sempre”. Ne incontriamo infatti alcuni in questo viaggio breve ma intenso. Sono cooperatori, docenti universitari, giovani artisti. Anche con loro ragioniamo degli argomenti che ricorrono in questa pubblica discussione che vive in Argentina. Ci sono le “ vecchie “ questioni dei diritti sociali e democratici, compreso quello al voto, degli immigrati. E le nuove frontiere come quelle delle recuperate di cui si occupano un poco tutti, da Alberta Bottini, che fa cooperazione ma anche formazione ai recuperanti, al suo compagno Fabio, argentino dirigente della CNCT, a Francesco Vigliarolo che sulle recuperate studia e intreccia relazioni. Diciamo a tutti che ci piacerebbe continuare a riflettere insieme, con i tanti che in Italia guardano a queste esperienze.
Ce n’è bisogno infatti in questo nostro Paese, così dimentico e perso. Ci chiedono tutti cosa succederà e noi diciamo che speriamo possa esserci ancora, o di nuovo, una forza che sia fuori e contro i diktat come il Fiscal Compact. E, aggiungiamo, molto dipenderà non solo dalle prossime elezioni ma, forse soprattutto, da come ci si saprà rifondare a partire dai movimenti e dalle pratiche sociali. Per questo il lavoro sulle recuperate può essere una traccia fondamentale di costruzione di un impegno condiviso.
Mentre torniamo contenti da questo breve viaggio così intenso da valere la pena di sobbarcarsi due volte tredici ore di aereo, mi soffermo sulla rotta che facciamo col nostro volo e che passa dall’America Latina all’Africa per tornare infine in Europa. E’ una rotta che sarà bene tenere a mente perché ci parla di un punto di vista nuovo che dobbiamo darci se vogliamo provare ad uscire da una situazione che si è fatta insopportabile.