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di Vassilis K. Fouskas*
È successo il prevedibile. Dopo aver subìto negli ultimi due anni misure d'«austerità» e un'umiliazione nazionale mai sopportate finora, e nonostante una legge elettorale anti-democratica e incostituzionale varata dai dei due partiti di governo (i socialisti del Pasok e Nuova democrazia) nel tentativo di mantenere il potere, il popolo greco ha emesso un verdetto inequivocabile: li ha buttati giù col voto, e ha scelto al posto loro partiti democratici radicali che meglio rappresentano i suoi interessi di classe e la sua dignità sociale.


Syriza (la coalizione della sinistra radicale, ndt) è il primo partito nei distretti di Atene e Pireo e ha trionfato nel collegio elettorale operaio più popoloso del Paese: il cosiddetto «Atene B», dove il Pasok è finito quinto! A Salonicco, la seconda città del Paese, Syriza non è arrivato primo per un pelo. È interessante notare che Syriza ha espugnato aree tradizionalmente pro-Pasok, come Patrasso nel Peloponneso e Chania a Creta. Si tratta di dati che hanno una valenza sia simbolico che di sostanza: nella psiche del paese èlevano la sinistra radicale democratica al livello di un vero partito socialista che può governare in maniera democratica e nello stesso tempo indicano al resto della società la leadership di cui hanno bisogno le classi lavoratrici affinché possa essere applicato un programma sociale realistico e anti-«austerità».
Questo risultato estremamente positivo di Syriza è arrivato nonostante una campagna di paura e ricatti portata avanti dal Pasok, da Nuova democrazia, e da funzionari dell'Ue, della Bce e dell'Fmi (la cosiddetta «troika») che ha finito per favorire l'ingresso in Parlamento dell'estrema destra razzista di Chrisi Avgi.
Indipendentemente da successo o meno, nei prossimi giorni, del tentativo dei rappresentanti politici dei banchieri di mettere insieme una coalizione di governo, resta il fatto che un eventuale accordo darà vita a un esecutivo provvisorio che non durerà, e quindi a breve si dovranno svolgere nuove elezioni. Questo però è solo ciò che appare in superficie. Le dinamiche profonde del voto greco sono di natura diversa.
La caratteristica principale delle elezioni del 6 maggio 2012, specialmente se analizzata assieme alla vittoria di Hollande in Francia, sta nella risposta straordinariamente positiva della gente alle politiche e ai programmi anti-«austerità», una risposta che ora sta risuonando all'interno dell'Europa e del mondo.
Specialmente in Grecia, questo risultato elettorale radicalizza l'intera geografia politica e sociale/di classe del Paese e dà l'avvio a un processo che porrà fine ai governi corrotti che si sono succeduti dopo il 1974 (l'anno del ritorno della democrazia dopo la caduta del regime dei colonnelli, ndt). La Grecia ora ha la sinistra radicale democratica più forte d'Europa (Syriza, il Partito comunista greco KKE e Sinistra democratica rappresentano oltre il 30% dell'elettorato). Con ogni probabilità anche se nei prossimi giorni verrà formato un governo, sarà talmente fragile da non poter durare. Quindi è quasi certo che il Pasok e Nuova democrazia si disintegreranno ulteriormente, e la società civile che si polarizzerà verso le forze autenticamente di sinistra e di destra, circostanza che si ripete in condizioni di profonda crisi sociale, economica e politica. È ciò che i vecchi comunisti, utilizzando l'espressione di Lenin, chiamerebbero «condizioni di potere duale». E chi, nell'attuale situazione in Grecia in Europa, si azzarderebbe a dire che hanno completamente torto? A questo riguardo il risultato elettorale greco ha il potenziale per sfidare e cambiare non soltanto la geografia politica e sociale/di classe della Grecia, ma anche quella dell'intera Europa.
Dopo aver appreso i risultati elettorali greci, ieri mattina i rappresentanti della «troika» si sono affrettati a dichiarare che «alla Grecia non verranno più concessi prestiti se non verranno applicate - senza alcuna discontinuità - le misure di austerità». La risposta della Grecia è stata sovrana e immediata: «Quando parla il popolo, la troika deve tacere».
*Professore di relazioni internazionali presso l'Università di Richmond, Londra
da Il Manifesto, martedì 8 Maggio 2012

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