di Sergio Cesaratto*
Con un peso massimo come la Spagna che si avvia a essere il quarto paese a ricorrere ai fondi europei per tenere in vita un moribondo sistema bancario pieno di mutui inesigibili, di un milione di abitazioni pignorate e invendibili, e di titoli di uno stato in via di insolvenza, è chiaro che l'euro è un dead man walking. Esso è tenuto in vita da un congeniato sistema di pagamenti
(il famoso Target 2) che, per ironia della sorte, ha una straordinaria somiglianza con la «International Clearing Union».
Quello che che Keynes propose come fondamento del sistema monetario internazionale.
Se una banca spagnola (o italiana ecc.) vede propri depositi (dunque liquidità) rifluire verso la Germania, vuoi come pagamento di importazioni tedesche, vuoi come ritiro di capitali tedeschi precedentemente investiti in titoli spagnoli, l'Eurosistema (Bce più banche centrali nazionali) per dovere istituzionale rifornisce di liquidità la banca spagnola. Normalmente la banca spagnola avrebbe chiesto fondi in prestito alla banca tedesca, ma la fiducia nel mercato inter-bancario europeo non c'è più. E' allora l'Eurosistema che si sostituisce al mercato inter-bancario e ricicla la liquidità affluita in eccesso presso le banche tedesche a favore delle banche spagnole. Keynes pensava a un sistema di tal genere allo scopo di sostenere i paesi con tendenziali squilibri esteri (il Regno Unito) riciclando i surplus finanziari dei paesi in avanzo (allora gli Stati Uniti). Ma non pensava a un sistema ad libitum quale ormai si assiste nell'Eurozona. Se avessero posseduto la propria moneta e venendo a mancare i prestiti privati internazionali, Spagna (o Italia) avrebbero visto crollare il valore della propria valuta, inizio di un processo più o meno doloroso di aggiustamento (come l'Italia nel 1992).
L'Eurosistema è tale per cui gli squilibri europei possono essere procrastinati, ma fino a quando? La fuga di capitali dai paesi periferici è palese e i bilanci pubblici non sono sostenibili ai tassi di interesse correnti. Ulteriori manovre fiscali nei paesi periferici non potranno, tuttavia, che condurre a una situazione sociale insostenibile peggiorando, peraltro, la medesima situazione di bilancio. I crediti tedeschi verso l'Eurosistema, attualmente circa 800 miliardi pari al 30% del Pil tedesco, crescono, si stima, fra 80-160 miliardi solo per finanziare i disavanzi correnti della periferia, anche se andrebbe loro spiegato che se l'Eurosistema non agisse così crollerebbero tutto il sistema e con esso crediti ed esportazioni tedesche.
Si dice ora che la Germania si renderà alla fine disponibile a una messa in comune di parte dei debiti pubblici in un «fondo di redenzione» e a un mutuo sostegno ai sistemi bancari vacillanti in cambio di un nuovo Trattato che ponga le finanze pubbliche nazionali definitivamente sotto il controllo europeo. Purtroppo prima di giubilare alla maggiore integrazione europea si deve costatare che il fondo di redenzione altro non sarebbe che un più stringente «fiscal compact», in cui i paesi sarebbero costretti a redimere la propria quota di debito in 25 anni, mentre nulla i tedeschi si impegnano a fare per rilanciare la propria domanda interna. La periferia si vedrebbe condannata a un'eterna austerità essendo anche stata espropriata di ogni controllo parlamentare sulle finanze (avendo da tempo perso quello sulla moneta). Questo piano o è un protervo ultimatum imperialista tedesco, oppure a fronte del certo rifiuto francese a cedere la propria sovranità, si tratta di un alibi di Berlino per non far nulla (e intanto godersi, grottescamente, un euro debole, zucchero per il proprio export e tassi di interesse sul suo debito sovrano, bene rifugio per gli investitori, quasi a zero).
Persino un disegno apparentemente progressista che vedesse in cambio della rinuncia alle politiche di bilancio nazionali (tenute al pareggio), l'unificazione parziale dei debiti sovrani (chiamiamola eurobond) senza sciocchi impegni alla «redenzione», la creazione di un bilancio federale volto al sostegno di domanda e investimenti e una Bce accomodante, si scontrerebbe con ulteriori difficoltà. Siffatto disegno, sebbene un passo in avanti, ancora non affronta la questione di fondo di una periferia europea resa meno competitiva dalla moneta unica e dunque più povera. L'integrazione politica richiederebbe, infatti, un minimo di perequazione nei diritti sociali comportando dunque quella «transfer union» tanto temuta dai tedeschi. L'integrazione europea sarebbe dunque per loro sostenibile solo se si sancisse l'esistenza di paesi di serie A e paesi di serie B in termini di diritti sociali e lavorativi.
Da ultimo la crisi europea richiede due misure: (a) l'impegno della Bce a ridurre i tassi di interesse sì da rendere possibile al contempo la stabilizzazione dei debiti sovrani e politiche fiscali espansive politiche fiscali espansive (a tassi bassi è possibile); (b) un'inflazione nei paesi centrali stabilmente superiore alla periferia sì da consentirle di recuperare un tasso di cambio reale competitivo in un tempo ragionevole. Queste misure sono possibili senza indesiderabili ulteriori cessioni di sovranità all'Europa.
*Ordinario di politica economica Università di Siena