di Eleonora Forenza

Quando solo nel 2012 i femminicidi  diventano 54 dovrebbe esser chiaro a tutti che non si tratta di “casi”. È una strage lunga e silenziosa, quella degli uomini che uccidono le donne, della violenza maschile contro le donne. Una strage che la comunicazione di massa codifica colpevolmente tra la cronaca scandalistica e nera, con le parole omicidio passionale, d’amore, raptus, momento di follia.

Si stravolgono e si tacciono cioè alcune parole fondamentali per leggere politicamente questa strage: parliamo di violenza maschile che uccide le donne – il tema fu giustamente impostante anche dalle pagine della nostra «Liberazione» e dei suoi inserti. Ossia di una violenza che ci induce a dire che – purtroppo – la fine del patriarcato è ancora lontana. Pariamo di un problema politico- non di casi di cronaca- su cui gli uomini si devono interrogare, devono interrogare la loro idea di maschilità, virilità, il rapporto proprietario che è ancora la cifra con cui molti uomini interpretano la relazione con una donna. Non smetteremo mai di dire che la violenza sulle donne è un problema maschile, che parla anche della incapacità di stabilire relazioni d’amore tra pari, di confrontarsi con l’autodeterminazione dell’altra. Parliamo, cioè, non di singoli uomini che impazziscono, ma di come tuttora la relazione fra i generi sia segnata complessivamente da asimmetria, mancanza di riconoscimento, violenza simbolica, che spesso diventa anche fisica.  

I femminicidi sono una questione di cui da tempo si occupano i collettivi femministi. Pensiamo alle manifestazioni del 25 novembre- giornata mondiale contro la violenza maschile sulle donne-, all’utilissimo lavoro svolto qui in Italia da Barbara Spinelli (autrice del libro Femminicidio) sul riconoscimento giuridico internazionale del femminicidio. E bene ha fatto il movimento «se non ora quando» a promuovere l’appello «mai più complici» per provare a scalfire l’indifferenza della politica sulla violenza contro le donne.

( per aderire  http://www.petizionepubblica.it/?pi=P2012N24060)

 

La violenza maschile contro le donne è, infatti, un  problema politico su cui la politica (non la politica delle donne, beninteso) tace. Perché la politica è ancora segnata da dispositivi maschili, dal dominio maschile. Perché la politica è ancora segnata da un dispositivo che separa pubblico e privato, occultando il nesso tra personale e politico: la violenza contro le donne diventa così o un problema privato, domestico; o un problema politico contro cui si ergono vergognosi e mistificanti «pacchetti sicurezza». Si è cosi potuto condannare il sessismo osceno e corruttivo di Berlusconi senza interrogarsi sul sessismo che permea – dietro una coltre moralistica-  il senso comune e  la comunicazione di massa in questo paese.

 Pensiamo davvero che non ci sia una connessione fra il mancato riconoscimento della donna che decide di interrompere una relazione – e che viene uccisa-  e il mancato riconoscimento dei percorsi di autodeterminazione delle donne che segna la nostra società? La violenza maschile contro le donne è ancora anche una condotta di stato: pensiamo a quanto abbiamo dovuto attendere perché la violenza sessuale diventasse un reato contro la persona e non contro la morale, alla legge 40 sulla fecondazione assistita, alle polemiche sulla pillola abortiva, al taglio di welfare, asili nido, consultori, alla nuova privatizzazione del carico sociale tutta a carico delle donne.

Diceva Carla Lonzi «noi identifichiamo nel lavoro domestico non retribuito la prestazione che permette al capitalismo, privato e di stato, di sussistere». Quando lo riconoscerà la politica (e ci piacerebbe che lo riconoscessero in primo luogo i nostri compagni)?  Quando parleremo di un nuovo welfare e di una simmetrica distribuzione del lavoro di cura? Quando riconosceremo il lavoro domestico proponendo, ad esempio, un reddito di autodeterminazione per tutte/i?  

Il riconoscimento maschile dell’altra, della sua differenza, della sua soggettività, del suo diritto all’autodeterminazione è un passo ineludibile per  gli uomini, per la politica. Spesso sono le donne a vergognarsi della violenza del proprio compagno, a sentirsi colpevoli e sole. Il femminismo è stato ed un percorso individuale e collettivo di uscita dal silenzio. Vorremmo che anche gli uomini, e anche i nostri compagni, cominciassero a porsi qualche domanda, a uscire dal silenzio. 

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