di Maurizio Minnucci
Il lavoro per il Sud, gli squilibri e la disocccupazione, l'assistenzialismo che si attorciglia su se stesso senza creare le basi per il futuro. Ecco i temi al centro dell'assemblea nazionale della Cgil sul Mezzogiorno del 13 e 14 settembre a Salerno. Due giornate con un doppio filo conduttore: da una parte la condizione meridionale come cartina di tornasole per il rapporto col governo che, nel giudizio del sindacato, ha ormai esaurito la spinta propulsiva; dall'altra la riflessione sul rapporto del sindacato stesso con la recessione e sulla necessità d'innovarsi nella contrattazione, compresa quella nei territori.
Tante le analisi e le proposte presentate (sul sito RadioArticolo1 tutti i podcast) verso la conferenza di programma che si terrà prima della prossima campagna elettorale.
L'obiettivo della Cgil è giungere a un vero e proprio Piano del lavoro, perché se il malato è cronico una medicina blanda non può bastare. "Guardiamo al futuro, è una sfida per il Sud e per tutto il Paese", ha precisato il segretario generale della Cgil Susanna Camusso in conclusione di dibattito. Una discussione, quella sul lavoro, che però va fatta senza strumentalizzarne l'oggetto "come invece si sta facendo sulla produttività, sullo Statuto dei lavoratori o sul referendum" per l'articolo 18. "Non ci interessano - ha spiegato ancora Camusso - le proposte di breve periodo. Vogliamo un impianto strategico e cambiamenti strutturali e sappiamo di avere bisogno di una politica di qualità, che ci vogliono alternative di governo".
Dunque, ripartire dal Mezzogiorno - dove dall'inizio dell'anno sono stati bruciati circa 40mila posti - in due tempi. Subito, con le mosse giuste per difendere le attività produttive. Poi, tra qualche mese, con un focus sui servizi pubblici e sulla cittadinanza. "L'idea di fondo che il Nord può andare dove vuole senza politiche coordinate è sbagliata", ha chiarito Camusso. "Una programmazione che tenga conto dell'equilibrio che c'è tra Nord e Sud è fondamentale. Occorre porsi la domanda sugli squilibri, fare del Mezzogiorno la chiave per affrontare questo tema", perché "c'è una parte del Paese che ha bisogno di essere difesa e salvaguardata. Cittadinanza e welfare devono andare a braccetto, e non si parli sono di assistenza, d'inginocchiamento: se vogliamo immaginare un progetto comune, dobbiamo lavorare per ridurre le differenze".
"Quando rilanciamo l'idea dell'intervento pubblico - spiega poi la dirigente di Corso d'Italia - non pensiamo ai vecchi modelli. Il tema vero è come ricostruire la frantumazione, lì bisogna decidere su cosa puntare. Per esempio, possiamo immaginare che il Sulcis sia una straordinaria area in altre attività, ma se portiamo via il lavoro, oggi, non si farà altro che obbligare chi vive lì a migrare in altri posti dell'Italia o del mondo. Il pubblico - ha chiarito - deve avere un ruolo di orientamento e bisogna smontare idea che il welfare sia solo un costo, perché i tagli alle amministrazioni locali tagliano le possibilità d'investimenti a livello territoriale, quelli che storicamente ci hanno fatto crescere nel passato". La priorità resta l'allentamento del Patto di stabilità per i Comuni, altrimenti non ce la facciamo. "Chi ha il 70% di raccolta differenziata fa risparmiare tutti e a quel Comune non possiamo dire le stesse cose che diciamo a chi sperpera le risorse". E poi, "puntare sulla conoscenza e sull'istruzione, nidi e materne, fare qualche centro commerciale in meno e rinnovare la grande distribuzione".
Infine una frecciata all'esecutivo: "Non si può discutere del bis se non si lascia un progetto per il paese". I provvedimenti del governo, osserva Camusso, "hanno determinato un peggioramento della recessione" e l'iniquità che parla di più al Mezzogiorno "è la legge sulla corruzione" per la quale "c'è bisogno di fare un passo in più". Quanto all'ulitmo tavolo aperto a Palazzo Chigi, quello sulla produttività, "vogliamo parlare di innovazione", precisa. "Basti pensare alla Fiat, che ha spinto tanto sulla produttività, e alla fine che ha fatto Fabbrica Italia". Infine sui contratti. "Alcuni vincoli - ha chiarito - debbono essere uguali ovunque, non c'è una ragione al mondo per avere minimi contrattuali diversi. Sui salari di produttività, invece, il territorio può pesare. Certo, non tutto è lecito e non c'è un manualetto per fare i contratti. Ma se pensiamo che bisogna investire nel Mezzogiorno, quest'idea può valere anche nella contrattazione".
da Rassegna.it