di Roberta Fantozzi
E' un pessimo accordo, oltre le peggiori previsioni. Un accordo che interviene su tutti i temi decisivi del rapporto di lavoro: democrazia e rappresentanza e dunque validità degli accordi, esercizio del conflitto, modello contrattuale. Quei temi che hanno motivato la lunga divisione tra Cgil da una parte, Cisl e Uil dall'altra e rinunciando ai quali ora la Cgil, a prezzo di una regressione pesantissima, "rientra in gioco", assumendo la sostanza del modello fin qui contrastato. Le ambiguità di quel contrasto, la volontà evidente di rientrare nella partita, nulla tolgono infatti alla cesura drammatica che si è prodotta con la firma di ieri.
E' un pessimo accordo, oltre le peggiori previsioni. Un accordo che interviene su tutti i temi decisivi del rapporto di lavoro: democrazia e rappresentanza e dunque validità degli accordi, esercizio del conflitto, modello contrattuale. Quei temi che hanno motivato la lunga divisione tra Cgil da una parte, Cisl e Uil dall'altra e rinunciando ai quali ora la Cgil, a prezzo di una regressione pesantissima, "rientra in gioco", assumendo la sostanza del modello fin qui contrastato. Le ambiguità di quel contrasto, la volontà evidente di rientrare nella partita, nulla tolgono infatti alla cesura drammatica che si è prodotta con la firma di ieri.
Dunque, per essere validi, piattaforme ed accordi, non avranno bisogno del voto delle lavoratrici e dei lavoratori e il contratto non sarà più nella sovranità di chi poi ne sopporterà le conseguenze. Sarà sufficiente che siano d'accordo la maggioranza delle Rsu, oppure che siano d'accordo la maggioranza delle RSA, cioè dei delegati non eletti ma nominati dai sindacati: un modello che esce rilegittimato dall'intesa e che rompe, come qualcuno ha osservato, il "tabù" delle rappresentanze elettive. Certo, in quel caso - e solo in quello - votare si potrà, ma soltanto se lo chiederà almeno una delle organizzazioni firmatarie o il 30 per cento dei lavoratori, una percentuale elevatissima. L'accordo siglato prevede anche una clausola di tregua sindacale, cioè di limitazione del diritto di sciopero. E le aziende potranno derogare al contratto nazionale di lavoro «per aderire alle esigenze di specifici contesti». Nell'attesa che gli ambiti di derogabilità siano definiti, si specifica che si potrà intanto intervenire sulla «prestazione lavorativa, sugli orari, sull'organizzazione del lavoro». E nulla cambia se il termine deroga è sostituito dalle formule ipocrite di «intesa modificativa» o di «articolazione», quando ne è trasparente il significato.
Dunque, messa in mora della democrazia, imbrigliamento del conflitto, derogabilità del contratto nazionale. In cambio di cosa la Cgil accetta oggi quello che ha contrastato ieri? Non si capisce, se non in omaggio ai nuovi equilibri politici in gestazione. Senza vedere che in questo modo si sparge il gelo sul vento di primavera che pare tornato a soffiare sul Paese. Quello che con la partecipazione e la rimessa in discussione dei dogmi del neoliberismo ha attraversato la società italiana, prima con l'esito delle amministrative e poi con i referendum. Quello di cui c'è bisogno per contrastare la crisi e le manovre del governo. C'è da augurarsi davvero che sia possibile tornare indietro.