Con tre sentenze la Cassazione rovescia quanto stabilito dalla Corte d’Appello e ristabilisce il primato della Costituzione anche sui contratti firmati dai maggiori sindacati nazionali.
Il “ diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e comunque sufficiente a garantire a sé e alla propria famiglia una vita dignitosa” sancito dall’articolo 36 della costituzione” diventa d’ora in poi il riferimento per la giustizia in Italia.
Le sentenze riguardano le cause intentate da lavoratori della vigilanza con contratti che fino a pochi mesi fa prevedevano retribuzioni orarie sotto i cinque euro, ma ritenuti validi dalla corte d’appello in quanto firmati dai sindacati “maggiormente rappresentativi” Cgil, Cisl, Uil.
Ora la corte di Cassazione da finalmente ragione ai lavoratori e soprattutto, assumendo come riferimento la Costituzione, stabilisce che i salari non possono stare sotto la soglia di povertà relativa.
Una vittoria importante perché considera illegali i salari da fame che coinvolgono milioni di lavoratori e perché introduce la necessità di una legge in materia salariale laddove la contrattazione non arriva o si è rivelata incapace di tutelare la dignità del lavoro.
Una vittoria che da ragione e un ulteriore spinta al nostro impegno per la raccolta firme su una legge di iniziativa popolare per il salario minimo che presenteremo a breve in parlamento.
La legge che prevede un salario minimo di 10 euro l’ora agganciato automaticamente all’inflazione e pagato dalle imprese, non dallo stato, è la giusta risposta alla domanda che arriva dal mondo del lavoro tutto.
10 euro è il minimo oggi più di ieri considerando anche che 2 anni d’inflazione a due cifre hanno ridotto del 20% il potere d’acquisto dei salari, mentre sono circa 5 milioni le lavoratrici e i lavoratori che hanno minimi contrattuali sotto questa soglia.

Antonello Patta, responsabile nazionale lavoro
Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea

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