di Ezio Locatelli* -

C’è poco da stupirsi – da indignarsi sì – che Silvio Berlusconi se ne sia andato in pompa magna, con l’aureola del grande condottiero. Il potere è sempre stato per il potere. Ciò che è significativo, la riprova di un cambiamento di clima sociale, è la reazione dell’opinione pubblica. Questa volta, più di altre volte, la maggioranza delle persone ha dato dimostrazione di essere da un’altra parte, di non identificarsi nella maschera del “potere dei pochi”.

Quella del padrone di Mediaset, del suo spregiudicato potere economico e multimediale è storia che ha segnato pesantemente la vicenda politica degli ultimi trent’anni. È la storia di una controrivoluzione che ha dato preminenza politica alla ricchezza e alla proprietà, che ha fatto tabula rasa degli elementi di democrazia sociale e rappresentativa sanciti dalla Costituzione. Un progetto costruito sulla messa fuori gioco dei partiti organizzati e programmatici, in specie dei partiti delle classi subalterne, osteggiati per la loro capacità di opporre una qualche forma di resistenza alla marcia trionfale della ricchezza e del potere dei pochi.

Un progetto che ha puntato tutto sulla frantumazione sociale, sulla competizione tra territori, sull’individualismo sfrenato. L’introduzione del sistema uninominale e del maggioritario, la personalizzazione della politica sono stati funzionali allo spostamento dei rapporti di forza a favore delle classi abbienti. Disgraziatamente sono state le stesse forze di sinistra e poi di centrosinistra che, invece di assolvere al compito di resistere alle prevaricazioni della grande ricchezza, di farsi carico della questione sociale, hanno contribuito allo smantellamento del sistema proporzionale, degli organismi di azione collettiva.

Svuotato dalla questione sociale l’antiberlusconismo è risultato inefficace ai fini della costruzione di una alternativa credibile. Uno svuotamento che è anche dei giorni nostri, quella di una opposizione di centrosinistra al governo Meloni che in larga parte non segna alcuna significativa differenza sul piano delle politiche economiche e di guerra rimanendo tutta interna ad uno stesso blocco sociale di interessi. Scalare un futuro diverso significa sottrarsi a questo gioco della politica tutta uguale.

Se è vero che la scomparsa di Berlusconi non chiude automaticamente un ciclo, il ciclo della restaurazione capitalistica, tuttavia non possiamo non vedere che c’è materia prima per un possibile cambiamento. L’ondata di malcontento, di rabbia e disprezzo per le istituzioni, che hanno peggiorato drasticamente le condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone, segna una rottura sociale. Una rottura a cui rispondere non col politicismo d’accatto ma lavorando a una ripresa delle lotte e del conflitto, lavorando per trasformare le spinte sociali in rapporti di forza.

Questa è la sfida del nostro tempo. Solo con la potenza attiva di tale antagonismo è possibile pensare di ricostruire una base di consenso ampia a una forza comunista, a una sinistra di alternativa. Qui devono tornare a risiedere le ragioni di un impegno personale e collettivo.

*resp. organizzazione nazionale Prc-Se

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