di Giuliano Garavini
L’austerità è un modo di essere. In questo senso Enrico Berlinguer e Mario Monti hanno, almeno in apparenza, non poco in comune in termini di garbo e sobrietà.Ma l’austerità è stata, e resta oggi, anche un progetto politico. In quanto progetto economico e culturale l’austerità berlingueriana degli anni Settanta e quella montiana dei Giorni nostri non hanno assolutamente nulla in comune.
e in modo particolarmente duro dai socialisti dell’epoca che vi leggevano il segno di un’ispirazione pretesca e moralizzatrice assolutamente fuori sintonia con lo spirito dei tempi.
A ben vedere si trattava anche di una critica al tradizionale impostazione socialdemocratica che era, e ancora oggi sembra restare, più interessata alla redistribuzione dei proventi della crescita che alla qualità di questa crescita e alla partecipazione diretta alla gestione di produzione e servizi.Cos’è invece l’austerità di Monti? L’austerità montiana non è altro che la presa d’atto delle classi dirigenti finanziarie e produttive europee che il modello di crescita occidentale, ed europeo in particolare, non è più in grado di sostenere in tutto il Continente la spesa statale in stipendi e servizi pubblici.
L’idea è dunque quella che i Paesi europei “periferici” tirino la cinghia in termini salariali, occupazionali, nonché in termini di riduzione della spesa pubblica fino al punto di invogliare nuovamente i capitalisti ad investire. Come locuste i capitalisti dovrebbero allora calare in massa nell’Europa periferica, o semplicemente sbloccare le ricchezze accumulate in attesa di tempi migliori, grazie ad un abbassamento delle tutele dei lavoratori, del peso della tassazione e a nuove opportunità innescate con la privatizzazione di servizi e concessioni in precedenza forniti dalla Stato. La politica dell’austerità montiana, dettata da una miscela ideologica proposta in primo luogo dalla Banca centrale europea e dalla Germania, diventa così il coronamento del trentennio neoliberista.
L’austerità belingueriana era un progetto innovativo e scomodo. Si proponeva ad una fetta della popolazione italiana che solo di recente aveva avuto accesso a consumi quali macchina e televisione di iniziare a concepire rinunce mentre ancora avevano freschi i ricordi decenni di lotte e di sudore in catena di montaggio. Si diceva anche ai sindacati e alla sinistra che occorreva qualche forma moderazione delle rivendicazioni e scelte oculata per evitare sprechi e trasformare la società in senso socialista e cooperativo. Era un progetto assolutamente rispondente al cambiamento dello scenario mondiale degli anni Settanta che vedeva comparire altre dinamiche aree mondiali accanto al blocco occidentale di Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone.
L’austerità di Monti è invece semplicemente la prosecuzione, in forma più rigorosa e spietata, di un processo di incentivazione della competizione tra individui, della deindustrializzazione di parti del Continente e dell’assalto della finanza alla ricerca di profitti a breve termine ai danni dei servizi pubblici. Ora il fatto che il principale partito della sinistra italiana, che mantiene il ritratto di Berlinguer nel suo Pantheon e in non poche delle sue sezioni, sia disponibile a perseguire la strada dell’austerità montiana è una contraddizione ma è anche un’opportunità: una volta raggiunto un livello così basso nell’elaborazione politica non può che esserci o un ravvedimento della classe dirigente o una rivolta della base contro le proprie classi dirigenti.
da Paneacqua