di Domenico Moro
A quanto pare, in Italia pagano le tasse i poveri e non i ricchi. Secondo Befera, direttore dell ’Agenzia delle entrate, ben un milione di famiglie dichiarano reddito zero, mentre oltre 4,3 milioni di dichiarazioni (il 20% del totale) risultano incoerenti, presentando uno scarto tra reddito
dichiarato e consumi effettivi. Le incoerenze sono maggiori per le imprese ed i lavoratori autonomi, che, al contrario di lavoratori dipendenti e pensionati, hanno
maggiori possibilità di sfuggire al fisco. Proprio sulle pensioni il bilancio sociale 2011 dell’Inps rivela un quadro penoso. La pensione media mensile è di 1.131 euro, che scende a 930 euro per le donne e a 920 euro nel Mezzogiorno.
Fra i pensionati, a fronte di un misero 2,9 per cento con pensioni sopra ai 3.000 euro, oltre la metà si posiziona sotto i mille euro. Il 35 per cento prende tra 500 e 1.000 euro e ben il 17 per cento sta sotto i 500 euro. Si tratta di un dato preoccupante, se consideriamo che, secondo l’Istat, la soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti è di 1.011 euro (2011). La povertà assoluta, ovvero la difficoltà a pagarsi il necessario per vivere, per un single è tra i 785 euro mensili di una area metropolitana del Nord e i 590 euro di un piccolo comune del Sud. Non è, quindi, un caso se tra 2010 e 2011, la povertà relativa tra i ritirati dal lavoro, spesso anziani soli o in coppia, è aumentata dall’8,3 al 9,6 per cento, mentre quella assoluta è salita dal 4,5 al 5,5 per cento. Drammatica è la situazione del Mezzogiorno, dove gli anziani poveri oltre i 65 anni salgono in un anno dal 18,6 al 21 per cento. In questa situazione, la questione dell ’evasione fiscale, che vale 120 miliardi annui, si intreccia sia con l’equità fiscale sia con la possibilità di avere risorse sufficienti per sostenere pensioni e redditi bassi e pagare servizi sanitari e di assistenza per le famiglie di lavoratori ed in particolare per gli anziani. Per incitare i più ricchi a fare dichiarazioni dei redditi maggiormente coerenti con il proprio stile di vita, l’Agenzia delle entrate sta introducendo il redditest. Questo sarà imperniato su 100 indicatori di spesa suddivisi in 7 categorie, dall ’abitazione ai mezzi di trasporto, agli investimenti mobiliari, alle spese per il tempo libero, ecc. Da questi indicatori si ricaverà un reddito presunto che non dovrà discostarsi dal reddito dichiarato di oltre il 20%. Anche il nuovo redditometro, lo strumento utilizzato direttamente dal fisco, sarà fortemente incentrato sulle spese effettivamente sostenute dal contribuente. Tutte queste iniziative
sono valide ma presentano un punto debole: non sono accompagnate da una riforma del fisco, che rimoduli lapressione fiscale in modo progressivo rispetto al reddito. Anzi, vengono usate per far meglio accettare la stretta sociale in atto ed in particolare il forte inasprimento della pressione fiscale sui settori più poveri, dovuta all ’aumento dell’Iva e dell’Imu. Ad esempio, l’Imu sulla prima casa peserà anche su chi ha perso il lavoro o ha una pensione a livelli bassi o bassissimi. A Roma, in un quartiere non centrale, l’Imu per una prima casa di 100mq ammonta mediamente a 1.154, a Torino a 1.132 euro, a Napoli a 828 euro, ovvero l’equivalente di una e mezza o due delle mensilità delle pensioni più basse. Quanto al lavoro autonomo, giustamente si pone l’accento sulla sua alta irregolarità, ma non è azzardato dire che anche la tassazione sugli autonomi è, in non pochi casi, veramente eccessiva. Ad esempio, un contratto di collaborazione di pochi mesi come dipendente subisce una pressione fiscale sensibilmente maggiore rispetto ad un contratto come partita Iva, anche se il lavoro è lo stesso. L’evasione fiscale è un fenomeno complesso, che attraversa stratisociali molto diversi tra loro. Certamente è molto più difficile, ma anche socialmente più equo e maggiormente redditizio per il fisco ed il bilancio statale, andare a colpire le multinazionali e le finanziarie che giocano anche sui diversi regimi fiscali esistenti a livello internazionale.
Pubblico - 21.11.12