di Riccardo Petrella

120117nichi_vendolaSia l'assessore Fabiano Amati (in una lettera aperta al sottoscritto e al movimento Acqua bene comune della Puglia del 12/1) che Nichi Vendola (il manifesto 14/1) hanno ragione di insistere sul fatto che la ripubblicizzazione del governo dell'acqua non è un affare semplice e che un presidente di una regione non ha né il potere né la bacchetta magica per fare quello che desidera. Questo, però, non è sufficiente per spiegare la questione fondamentale, al centro del dibattito in Puglia prima e dopo il referendum di giugno 2012, che è di capire «perché, dopo più di sei anni dall'elezione di Nichi Vendola a presidente della Puglia - vinta "personalmente" in maniera bella ed entusiasmante anche perché la ripubblicizzazione dell'Acquedotto pugliese (Aqp) è stata, con la sanità, uno dei due temi principali della sua campagna - i cittadini pugliesi devono ancora battersi per la ripubblicizzazione»?


La ripubblicizzazione dell'acqua vuole dire la responsabilità integrale ed integrata del governo dell'acqua nelle mani dei poteri pubblici e, quindi (solo in teoria?) dei cittadini: a) ai vari livelli di regolazione e di orientamento (regolazione giuridico-istituzionale, finalità ed obiettivi, forme di gestione finanziaria ed operativa, partecipazione dei cittadini compresa); b) nelle varie fasi del ciclo politico-economico globale dell'acqua e dei servizi idrici (salvaguardia e protezione dell'ambiente e delle fonti, attività di ricerca scientifica e tecnica, captaggio e produzione dell'acqua buona per usi umani, distribuzione, diffusione, usi, fognature, trattamento delle acque reflue e riciclaggio, valutazione, attività prospettive).
Per concretizzare il dibattito, la ripubblicizzazione dell'Aqp e del governo dell'acqua significava e significa tuttora almeno tre cose: cambiare lo statuto dell'Aqp; modificare il sistema tariffario e i principi fondatori del finanziamento dei servizi idrici introdotti dalla legge Galli del 1994; promuovere la partecipazione effettiva dei cittadini al governo dell'acqua.
Primo, cambiare lo statuto dell'Aqp da Spa, soggetto di diritto privato, a soggetto di diritto pubblico, cioè Azienda pubblica, Azienda speciale, ente consortile. Questo cambiamento non è stato operato. Come ha dimostrato la storia degli ultimi anni, anche la SpA in house (che rispetta le tre condizioni fissate dalla Corte di giustizia europea) costituisce una correzione non dello statuto privato della SpA, ma delle modalità operative della sua funzione sociale, che resta il profitto. Inoltre la SpA in house non può esimersi dall'applicazione della tariffa fondata sul principio del recupero dei costi totali di produzione, compresa la remunerazione del capitale (principio che è stato abrogato dal referendum di giugno proprio per quanto riguarda il 7%, che nella legislazione italiana era stato attribuito alla remunerazione del capitale). Certo, la costituzione dell'azienda pubblica regionale Aqp rappresenterà, quando realizzata, un passo avanti non indifferente, anche se non è ancora chiaro quale sarà il suo reale statuto. Peccato che la Regione Puglia non abbia operato il cambio di statuto negli anni quando non v'era alcun ostacolo legislativo che impedisse di farlo. Quisquilie, è stato detto e scritto. La priorità era di rendere efficiente la gestione dell'Aqp, ridurre le perdite di rete. E chi mai ha pensato che le due cose si escludessero? Il fatto è che sull'efficienza dell'Aqp tutti gli attori importanti della politica dell'acqua in Puglia (ed in Italia) erano d'accordo (e a ragione), mentre il cambio di statuto ha suscitato e suscita opposizioni forti all'interno della giunta e dell'assemblea regionale. La realpolitik ha sicuramente giocato in favore dei rinvii e dei tentennamenti. Comprensibile, ma ciò non rende accettabile i ritardi e le incompletezze nelle scelte operate. Ora è evidente che, se l'art. 20 del decreto legge sulle liberalizzazioni del governo Monti non sarà eliminato, effettuare il cambio oggi è diventato politicamente ancor più difficile (anche se non impossibile come dimostra la Arin Spa di Napoli trasformata in azienda speciale Acqua bene comune). L'Aqp invece resta una Spa!
Secondo, la ripubblicizzazione significa modificare il sistema tariffario e i principi fondatori del finanziamento dei servizi idrici introdotti dalla legge Galli del 1994 e rinforzati, nel senso della mercificazione dell'acqua e della finanziarizzazione privata dei servizi idrici, dai successivi numerosi interventi legislativi che hanno contribuito a fare della regolazione dei servizi idrici in Italia un sistema fra i più confusi in Europa. La Regione Puglia ha rifiutato finora di ripubblicizzare il sistema tariffario ed i suoi fondamenti. Essa non ha voluto cambiare, nemmeno in parte, la regola che impone che la tariffa del m³ d'acqua pagata dal consumatore deve finanziare i costi totali del servizio idrico integrato. Si è sempre affermato che la tariffa era essenziale per recepire le risorse finanziarie necessarie per gli ingenti investimenti da fare sia a corto e medio termine che a lungo termine secondo il Piano d'ambito. Su questo si è sostenuto che il mantenimento del 7% nella tariffa dell'Aqp, malgrado il referendum, serve non a remunerare il capitale investito ma a coprire i costi d'indebitamento dell'Aqp accumulati prima del 2005 dalla precedente gestione. Mi pare un argomento da rivedere anche per la semplice ragione che se l'Aqp applica la legge che ha introdotto l'obbligatorietà di includere tale percentuale a titolo di remunerazione del capitale, in questo caso non si può dire che esso copre altri costi. Se invece l'Aqp usa il 7% per coprire altri costi, va fuori norma perché non rispetta la disposizione legislativa. Non tanto solido è l'argomento che rimanda alla responsabilità dei sindaci pugliesi il mantenimento del 7% e che afferma che se i sindaci lo riducessero ciò avrebbe come conseguenza la riduzione degli investimenti. Chi crede per un secondo che la Regione, diventata l'unico azionista dell'Aqp, non abbia un grande potere d'influenza sulle decisioni in materia di tariffe?
La ripubblicizzazione del finanziamento del servizio idrico integrato in Italia significa, dunque, adottare un sistema differenziato a seconda delle tre principali finalità cui corrisponde l'utilizzo dell'acqua che sono: il diritto alla vita di ogni persona, il benessere collettivo decente, l'utilità individuale. Per quanto riguarda i costi del diritto umano all'accesso all'acqua potabile ed ai servizi sanitari, nella quantità e qualità essenziali per la vita (50 litri al giorno per persona) ed al trattamento delle acque reflue (quantità di litri da determinare «localmente»), essi devono essere coperti dalla collettività tramite il bilancio pubblico. In questo senso, bisogna continuare a battersi contro le scelte fatte, a livello nazionale ed europeo, di sottomettere al vincolo della stabilità la spesa pubblica per i servizi pubblici che riguardano i diritti umani e sociali.
Per quanto riguarda il benessere collettivo decente (si stima che esso sia soddisfatto con un utilizzo d'acqua di 120-130 litri al giorno per persona, compresi i già menzionati 50 litri), è opportuno richiedere ad ogni cittadino o nucleo familiare un contributo monetario fisso. Riguardo l'utilità individuale, ogni utilizzo superiore ai 120-130 litri diurni per persona corrisponde ad un benessere individuale variabile. In questo caso si può applicare una tariffa progressiva, fino ad un limite di litri utilizzabili, fissato dalla collettività. Questo limite di sostenibilità ecologica implica che al di là di esso non è legalmente permesso l'utilizzo dell'acqua potabile. Insomma, non si applica il principio «chi inquina paga». L'Aqp non ha operato alcuna innovazione a livello di questa ripubblicizzazione. Esso è rimasto allineato sulla soluzione rappresentata dalla «tariffa sociale», cioè una tariffa bassa, molto ridotta, mirante a permettere l'accesso all'acqua potabile per le famiglie «povere». La «tariffa sociale» non si distacca ideologicamente dalla cultura della mercificazione e privatizzazione del diritto all'acqua perché essa dice «tutti devono pagare l'acqua ai costi di mercato. Però, tenendo conto delle condizioni di certe categorie sociali, ecc. ecc., interveniamo per aiutarle». Il welfare è nato e si fonda sui diritti e sulla sicurezza, e non sulla carità e l'assistenza.
Non si può accettare come inevitabile che il finanziamento dell'Aqp sia definitivamente privatizzato perché fondato sulla tariffa pagata dal consumatore, sulla quale contare anche per ammortizzare l'indebitamento contratto sui mercati di capitali privati, a sua volta considerato inevitabile perché bisogna contenere la spesa pubblica, il pubblico non ha più soldi, il finanziamento privato consente una gestione più efficiente e efficace, ecc. È vero che oggi in Europa non esiste più un istituto di credito pubblico e che gli investimenti pubblici nei beni e servizi pubblici superano di gran lunga le capacità di intervento di banche etiche, banche sociali, banche cooperative; non si può contare su di loro per un'inversione di tendenza. In realtà, i dominanti privatizzatori hanno creato l'inevitabilità dell'indebitamento nei confronti del capitale privato.
Il rinegoziato dei termini del debito di 280 milioni contratto nel 2004 dall'Aqp con la Merryl Lynch è stato una buona cosa ma fu doveroso e legittimo tanto leonino fu il contratto firmato con leggerezza ed incuria dalla direzione dell'Aqp e dai responsabili della Regione dell'epoca. È auspicabile che la Regione abbandoni l'allineamento sulla «normalità» dell'indebitamento nei confronti dei capitali privati e, quindi, della dipendenza del futuro finanziario dell'Aqp dalle agenzie di rating. Questo allineamento emerge allorché l'assessore Amati parlando dei milioni di utili, registrati grazie all'efficienza dell'Aqp negli ultimi due anni, fa appello al riconoscimento della buona gestione dell'Acquedotto fatto «da tutti gli specialisti e dalle agenzie di rating». Vorrei attirare l'attenzione di Vendola e di Amati sulla trappola rappresentata dalla tariffa pagata del consumatore. La tariffa non libera l'acqua, né i servizi idrici, né il cittadino, né le collettività locali e regionali dalle logiche del mercato, del consumo e degli interessi finanziari. Le tariffe nei paesi del Nord dell'Europa sono in media da due (Belgio, Francia) a quattro volte (Danimarca, Regno Unito, Germania) superiori a quelle italiane. Esse non hanno ridotto l'indebitamento nei confronti dei mercati di capitali privati e «stranieri», anzi. E non si può dire che la tariffa della verità dei prezzi di mercato abbia liberato i cittadini francesi dalla loro sottomissione agli interessi delle grandi imprese private. Lo stesso vale per il Regno Unito e da pochi anni per la Germania.
Ciò detto, ha fatto bene il presidente Vendola ad affermare che è possibile ridurre la tariffa e che si può utilizzare il denaro pubblico per il finanziamento degli investimenti nel settore idrico. Finalmente! Spero che la Regione Puglia s'incammini gradualmente, ma presto, verso la ricerca di soluzioni innovatrici sul piano dell'istituzione di soggetti di credito pubblici regionali e del funzionamento dell'economia dei beni comuni in Puglia. Non sono titolato a parlare a nome del Comitato pugliese Acqua Bene Comune, ma penso che l'Università del Bene Comune e le nuove ed interessanti organizzazioni sui beni comuni, compreso quello pugliese, saranno pronte a dare il loro contributo di analisi e di proposte.
Arriviamo infine al terzo punto, ovvero promuovere la partecipazione effettiva dei cittadini al governo dell'acqua. Fino a non molto tempo fa, far partecipare i cittadini al governo degli affari pubblici significava soprattutto due cose: informarli bene e consultarli di tanto in tanto (ma senza potere vincolante). Il ricorso ai referendum abrogativi ed allo strumento di proposta di legge di iniziativa popolare erano considerati due strumenti eccezionali ed originali introdotti dalla Costituzione italiana. Il secondo, in particolare, resta una forma importante di partecipazione cittadina. Non è un caso che l'utilizzo di questi strumenti in Italia negli ultimi anni sia avvenuto nel campo dell'acqua. I cittadini pugliesi sono stati fra i più attivi in questa mobilitazione. La Regione Puglia ha in qualche modo, in maniera molto minore l'Aqp, accolto la pressione dei movimenti pugliesi ad essere coinvolti e partecipanti nel processo di ripubblicizzazione dell'Aqp annunciato da Vendola. Allo stato attuale si può dire che la partecipazione dei cittadini al governo dell'acqua in Puglia è di tipo movimentista, un misto di associazione/dialogo e di opposizione.
È tempo che siano messi in opera, subito, degli strumenti di coinvolgimento (audit o consulta regionali con pareri vincolanti, o «Stati generali dell'acqua della Puglia») con il compito di esaminare e proporre entro la fine del 2012 la creazione di un sistema di reale partecipazione dei cittadini al governo dell'acqua in Puglia. Nichi Vendola conosce bene il potere dei cittadini. Certo, tutti noi amiamo il vento quando ci è favorevole ma esso ci può aiutare ad andare nella direzione giusta anche per vie da noi non pensate o desiderate.

Il Manifesto 17 gennaio 2012

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