di Francesco Bilancia*
In questi giorni il Parlamento italiano si accinge ad approvare, ormai in seconda
lettura e pressoché all’unanimità, una legge di revisione dell’art. 81 della Costituzione
intitolata “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”.
Salvo
qualche limitato accenno, il progetto di riforma è praticamente assente dalla discussione politica –
e, con le dovute eccezioni, dal dibattito scientifico – incentrati piuttosto sul processo di risanamento
finanziario e di contenimento del deficit e del debito pubblico in corso di faticosa attuazione
per via di legislazione ordinaria. Dell’introduzione del c.d. principio del pareggio di bilancio in
Costituzione si parla con pressoché esclusivo riferimento agli impegni assunti dall’Italia in sede
di Unione europea, al fine di garantire una ritrovata immagine di credibilità del sistema dei bilanci
pubblici e del debito italiani al cospetto dei mercati finanziari. In questa sede ci si limiterà, invece,
ad una rapida lettura dei contenuti del progetto di revisione costituzionale, inquadrandone altresì il
significato normativo nel contesto del c.d. Fiscal compact, trattato internazionale sottoscritto, per il
momento, al di fuori del contesto dei trattati su cui si fonda l’Unione europea. (…)
Il progetto di revisione costituzionale introduce nel secondo comma dell’art. 81 della
Costituzione italiana la seguente disposizione: “Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine
di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a
maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”. Il successivo
art. 5, comma 1, lett. d) del progetto di riforma, qualifica tali “eventi eccezionali” come: “gravi
recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali”. Il portato normativo di questa
disposizione pare introdurre, quindi, un divieto di indebitamento – salvi i casi, alle condizioni e con
le procedure aggravate previste dal testo della legge di riforma – misura ben più pervasiva
dell’obbligo di garantire l’“equilibrio tra le entrate e le spese” del bilancio dello Stato con cui si
apre invece il primo comma del nuovo art. 81. L’ultimo comma della nuova disposizione rimette,
comunque, ad una futura legge costituzionale la definizione della normativa di principio nel cui
contesto una successiva legge, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna
Camera, dovrà provvedere a dare attuazione alla riforma. La legge di revisione costituzionale
prevede, inoltre, tra le altre cose: a) la riconduzione della materia “armonizzazione dei bilanci
pubblici” alla competenza esclusiva dello Stato; b) una forte revisione dell’art. 119 Cost. con
l’introduzione di ulteriori e gravi limiti all’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali; c) un
ulteriore limite al ricorso all’indebitamento di tutti gli enti di autonomia con l’impegno di questi di
concorrere, comunque, “alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche
amministrazioni”.
Rinviando ad altre sedi e a più rilevanti commenti la dettagliata analisi critica del
progetto di legge di revisione costituzionale ci si limiterà qui soltanto a sollevare alcuni
interrogativi, in parte frutto della acritica ed affrettata stesura del testo della riforma. Ciò appare, del
resto, evidente conseguenza della conclamata urgenza con cui si è dato avvio al progetto di
revisione costituzionale sotto la forsennata pressione delle istituzioni europee, dei governi di alcuni
Stati membri dell’UE, delle istituzioni finanziarie internazionali e dei mercati nella grave crisi di
affidabilità del debito pubblico italiano durante i concitati mesi dello scorso autunno (…)
Problemi interpretativi porrà nella prassi applicativa la formula “ricorso all’indebitamento”
di cui al secondo comma. E’ un riferimento specifico ai saldi di bilancio? Se sì, con quale
declinazione? E’ possibile convenire di ridurne semanticamente il senso quale mero sinonimo di
deficit ai sensi dei trattati europei e del Patto di stabilità e crescita? Dobbiamo ritenere che, a
regime, la Costituzione italiana vieti il ricorso a soglie anche minime di deficit pubblico se non ai
limitati fini e con le procedure di cui al nuovo secondo comma dell’art. 81? Il necessario ricorso
alla maggioranza assoluta affinché, al fine di considerare gli effetti del ciclo economico o al
verificarsi di eventi eccezionali, si possa procedere alla elaborazione di politiche di spesa pubblica
anche se minimamente idonee a determinare un deficit di bilancio, inoltre, sottrae la disponibilità di
questo fondamentale strumento di politica economica a qualunque maggioranza politica, a
qualunque governo – salvi i benefici di un occasionale sistema elettorale ad ampio effetto
maggioritario – implicando il necessario coinvolgimento di parte delle opposizioni anche solo per
sfruttare gli effetti di una congiuntura economica particolarmente favorevole. A meno di non
ritenere di voler riservare l’utilizzo di questo strumento a soli governi tecnici, o comunque sostenuti
da maggioranze parlamentari bipartisan. Per tacere dei drammatici effetti che la riforma produrrà
sull’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali, sembra quindi consolidarsi nel testo della
Costituzione la scelta (di politica contingente) di eliminare dall’orizzonte del possibile la
elaborazione di politiche espansionistiche anche in fasi congiunturali positive. Senza poterci, qui,
peraltro impegnare in una disamina delle differenti teorie economiche in relazione agli effetti e ai
possibili rimedi dell’intervento pubblico nell’economia nelle fasi congiunturali avverse. Il recente
appello al Presidente degli Stati Uniti di ben cinque premi Nobel per l’economia contro
l’inserimento dell’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione per via dei gravi rischi di
recessione e di contrazione del PIL, con conseguente avvitamento in una crisi di sostenibilità del
debito pubblico, avrebbe però dovuto indurre ad assumere maggiori cautele prima di cristallizzare
in un testo costituzionale gli effetti di una delle possibili dottrine economiche in materia di ruolo
dello Stato e della spesa pubblica in economia, a quanto pare anche scarsamente condivisa.
Tra l’altro il testo della legge di revisione costituzionale italiana nell’indicare il divieto, salve le già richiamate rare e modulate eccezioni, del ricorso all’indebitamento tout court si pone in linea distonica tanto con le analoghe iniziative assunte da altri Stati europei, quanto con le più recenti prescrizioni del Trattato contenente il c.d. Fiscal compact. Come è noto la legge di revisione
della Costituzione francese non ha compiuto il suo iter e la procedura è attualmente bloccata in
attesa dell’esito delle prossime elezioni presidenziali. Ma anche il testo del nuovo art. 135 della
Costituzione spagnola non si spinge a vietare acriticamente il ricorso all’indebitamento, né a fissare
una soglia percentuale di deficit pubblico, indicando piuttosto l’obbligo di non “incurrir en un
déficit estructural que supere los márgenes establecidos, en su caso, por la Unión Europea para
sus Estados Miembros” rinviando quindi, per la determinazione in dettaglio dei limiti di deficit
strutturale ammissibile, ad una successiva legge organica. Questa formula consente, ad un tempo,
un margine di manovra per le politiche espansionistiche nelle fasi in cui la stessa Unione europea
dovesse consentirle, ponendo contemporaneamente la Spagna in una posizione di pari dignità con
gli altri Stati membri quanto alle determinazioni di politica economica, alla sorveglianza sul debito
pubblico e alla elaborazione di scelte di politica economica congiunturalmente aperte alla ipotesi di
espansione del deficit a sostegno della crescita o a garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini. Il
disposto normativo del nuovo testo dell’art. 81 della Costituzione italiana, invece, pone un divieto
di indebitamento che alla lettera non contempla analoghi margini di flessibilizzazione.
A fronte di una disciplina di bilancio che, nel testo originario della Costituzione e a prescindere dagli errori e dalla scarsa attenzione all’equilibrio di bilancio imputabili nel tempo al sistema politico, non comprometteva la scelta per un determinato modello sociale, l’attuale proposta di revisione determinerà radicali mutamenti nella forma di Stato, per i significativi riflessi che la scelta di costituzionalizzazione della opzione di politica economica implicata dalle formule normative richiamate determinerà sul sistema delle autonomie regionali e locali e sulla garanzia dei diritti fondamentali in effettiva condizione di eguaglianza. La gestione della crisi finanziaria mondiale e di sostenibilità del debito pubblico italiano, pur in fase di superamento grazie a politiche di bilancio finalmente rigorose e attente, viene pertanto assunta quale strumentale occasione per modificare a regime la forma di Stato ponendo le premesse giuridiche per il superamento, di fatto, dell’impianto sociale dell’economia di mercato.
* Costituzionalista