di Gianluigi Pegolo*

 

L’importanza delle elezioni amministrative non si è mai limitata ai contesti locali. Sempre esse hanno inciso sugli scenari nazionali.

D’altronde, fra le stime dei sondaggi e il riscontro elettorale concreto vi è sempre stato un gap, in taluni casi rilevante. Le elezioni amministrative hanno costituito, in tal senso, una verifica concreta e temporalmente ravvicinata del mutamento dei rapporti di forza non solo nelle singole città o aree territoriali, ma anche nell’insieme della società. Naturalmente questa rappresentatività più ampia del dato amministrativo si è molto rafforzata dal momento in cui le elezioni si sono concentrate annualmente in un’unica scadenza, rendendo quindi il test più significativo. Per questa loro rilevanza, in quanto indicatore delle tendenze generali del corpo elettorale, le elezioni amministrative hanno influito non poco sulla vicenda politica, determinando talvolta perfino la crisi di governi in carica.

Ciò vale a maggior ragione nel caso della prossima prova elettorale del 6-7 maggio. In questo caso l’elemento che la rende di particolare rilevanza non è tanto la dimensione del corpo elettorale chiamato al voto (qualcosa come circa 800 comuni minori, 180 superiori di cui una trentina capoluoghi), che resta inferiore a quella della scorsa primavera, quanto l’eccezionalità del momento in cui si tengono. Non si tratta solo del fatto che anticipano le elezioni politiche del 2013, ma che vengono a collocarsi in un momento di evidente crisi dell’intero assetto politico del paese, in presenza di scenari molto incerti sullo sbocco politico. Vi è, infine, una terza ragione che attribuisce a queste elezioni un rilievo particolare ed è il possibile condizionamento che il loro risultato eserciterà sulle proposte di modifica del sistema elettorale.

E’ necessario, quindi, cogliere l’intreccio fra le peculiarità dell’attuale momento politico e il ruolo che assumeranno le elezioni amministrative. Il primo elemento da considerare è lo scompaginamento del sistema di alleanze fin qui affermatosi. La nascita del governo Monti si è accompagnata a destra alla rottura dell’alleanza fra PdL e Lega. A sinistra è evidente la fibrillazione crescente del PD. Questo partito è ormai sottoposto a un’evidente tensione fra l’assunzione di una prospettiva dichiaratamente centrista e il mantenimento di un minimo ancoraggio a sinistra.  Fino a che punto le elezioni amministrative registrano tale sommovimento?

I riscontri sono evidenti. Al nord le alleanze PdL – Lega sono in discussione e le rotture si moltiplicano. E’ evidente da parte della Lega la presa d’atto dell’insostenibilità dell’alleanza con il PdL e la necessità di recuperare la propria autonomia. L’obiettivo dichiarato è di attuare uno sfondamento nell’elettorato moderato per accreditarsi come prima forza politica del nord, anche al prezzo di consegnare al centro sinistra diverse amministrazioni locali. Per altri versi, le contraddizioni interne del PD si avvertono nell’articolazione delle scelte e, in particolare, nella riconferma, da un lato, di coalizioni di centro sinistra e, dall’altro, nell’estensione delle alleanze con il terzo polo. Le due formule hanno una diversa incidenza territoriale, che riflette anche i diversi rapporti di forza con la destra. L’apertura al centro è nettamente più presente al sud e trova il suo epicentro in Sicilia, con il tentativo di estendere la formula del governo regionale alle situazioni locali. La conferma di alleanze di centro sinistra prevale al nord.

Queste tendenze, avvertibili nelle prossime elezioni amministrative, aiutano a comprendere il presupposto razionale da cui muovono le proposte di modifica della legge elettorale. Quello che, infatti, si coglie in queste dinamiche delle alleanze è il decomporsi del sistema bipolare. A destra è evidentissimo con la rottura PdL-Lega, ma ciò vale anche a sinistra con la propensione del PD a fuoriuscire dallo schema del centro sinistra. Nasce da qui la pulsione al recupero del proporzionale come condizione per consentire la competizione libera delle forze politiche e l’altrettanto libera formazione, in sede parlamentare, delle maggioranze di governo. Di ciò, chi ha sempre criticato il “bipolarismo coatto” della seconda repubblica non può che compiacersi, ma va rilevato in negativo che il proporzionalismo cui si pensa è costruito per avvantaggiare le forze maggiori e che è avvertibile una tendenza generale allo spostamento al centro.

E qui veniamo al nodo della sinistra e ai suoi comportamenti in queste elezioni. Se per sinistra intendiamo le forze che oggi in forme diverse si collocano a sinistra del PD, si deve riconoscere che le intese anche parziali fra queste forze (e in particolare fra FdS, SEL, Verdi e IdV) sono cresciute nei territori, la qualcosa dovrebbe indicare un miglioramento nei rapporti a sinistra. In realtà questo giudizio rischia di eccedere in ottimismo. Queste alleanze, infatti, sono state condizionate in misura non marginale dai vincoli posti in Sicilia dalla legge elettorale che fissa una soglia di sbarramento esageratamente alta, al punto da costringere ad accorpamenti forzosi. E’ dubbio, inoltre, che l’estensione di tali intese rifletta un’effettiva volontà di unità e a maggior ragione di autonomia dal PD.

Per esempio, di fronte all’evidente propensione del PD ad aprirsi al terzo polo non vi è stata una resistenza particolare da parte di SEL, il cui orientamento resta quello di mantenere ad ogni costo il rapporto privilegiato con il PD, a parte i contrasti che si manifestano in occasione della scelta dei candidati alle primarie. Non solo, le stesse convergenze in liste unitarie di sinistra hanno rappresentato per il gruppo dirigente di questo partito delle eccezioni, spesso da contrastare, anziché una scelta condivisa. Un atteggiamento sicuramente più positivo è stato quello dell’IdV, specie in alcune situazioni – vale per tutti il caso di Palermo - dimostrando un’impostazione più rigorosa e meno subalterna al PD, ma non si può parlare di una linea organica. Nel complesso, quindi, non è possibile trarre dallo scenario delle amministrative un segnale deciso nella direzione dell’unità a sinistra. Si sono ridotte le ostilità, ragioni di utilità pratica hanno fatto dismettere atteggiamenti scioccamente settari, ma non vi è una vera svolta e il nodo della prospettiva politica resta in campo.

Questo elemento resta decisivo per più ragioni. Dovrebbe essere chiaro che se vi fosse una modifica della legge elettorale nel senso indicato dalle dichiarazioni rese da esponenti della maggioranza di governo, un’alleanza fra le forze di sinistra sarebbe indispensabile.  Inoltre, non è vero che la semplice espressione della volontà dei cittadini favorisce l’affermazione delle posizioni più radicali. Lo si è visto nel caso delle primarie, dove le possibilità di manipolazione del corpo elettorale sono enormi, specie al sud, come dimostra la vicenda di Palermo. Né può sfuggire che la crisi della politica a livello locale alimenti la parcellizzazione qualunquista e il trasformismo di cui il fenomeno delle liste civiche è espressione significativa. Non è inoltre automatico che quando una domanda di radicalità di esprime nei territori trovi poi un’adeguata proposta politica nei governi locali. Non è un mistero per nessuno che vi è delusione a sinistra circa i passi concreti di alcune amministrazioni sulle quali si era riposta tanta speranza.

Insomma, di unità a sinistra ci sarebbe bisogno non solo per realizzare saltuarie alleanze elettorali, ma per costruire proposte, definire progetti alternativi di sviluppo locale, far crescere una consapevolezza politica diffusa, contrastare i processi di emarginazione sociale, alimentare anche dalle istituzioni locali una sana contestazione delle politiche neo liberiste. Ciò, tuttavia, ancora non si produce e la politica resta in larga misura ancorata a scelte tattiche. Se vi può essere un cambiamento, quello sta nel recupero della materialità della condizione sociale e nella ricostruzione di una proposta di sinistra all’altezza della gravità della crisi. L’ambito locale offre possibilità inedite perché qui la crisi colpisce non solo nel vivo della condizione sociale, ma logora il senso di appartenenza a una comunità e svilisce il senso delle istituzioni. Occorre portare in queste elezioni amministrazioni il senso di una svolta e lo si può fare rimettendo al centro i contenuti e le pratiche sociali. E’ un primo passo, non risolutivo, ma necessario.

 

* Responsabile dipartimento "Democrazia, istituzioni, partecipazione" PRC

 

 

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