Tagli alla sanità, alla scuola, alle politiche sociali, in un paese impoverito
di Antonio Ferraro*
Anche quelle poche certezze (la scuola pubblica in primis), quelle flebili speranze di crescita del bene-essere in questa società, sono messe lì tutte in fila, in attesa di essere fucilate una ad una dal governo. Spesso, poi, lo sparo del colpo alla testa viene concesso all'alleato prediletto, Confindustria.
Si sta attaccando su più fronti il sistema di protezione sociale del nostro Paese: dai tagli previsti in finanziaria, alle politiche di privatizzazione del welfare, al federalismo fiscale che indebolisce principalmente i servizi essenziali alla persona e aumenta le distanze tra nord e sud. Tagli alla sanità, si calcolano 7,5 miliardi di euro in meno nel prossimo triennio (fonte Conferenza delle Regioni). Tagli al fondo nazionale per le politiche sociali, 270 milioni in meno. Nulla sul fondo sulla non autosufficienza a partire dal 2010. E nel pieno di una crisi economica, da cui emerge palese il fallimento del capitalismo moderno, l'antidoto proposto dal governo per rilanciare il welfare (vedi il libro verde di Sacconi) è di venderlo allo stesso mercato che ha alimentato la povertà di milioni di persone. Il disegno è scientifico e quasi diabolico se aggiungiamo le manovre a favore delle banche invece che a sostegno dei cittadini e quelle contro la scuola pubblica (approvato mercoledì il decreto Gelmini) per facilitare il passaggio da una educazione da garantire a tutte e a tutti alla mercificazione selvaggia della conoscenza. Un vero attacco ai diritti universali, che vengono risucchiati e mortificati in un'ottica di produttività esasperata, dove la tutela pubblica viene a mancare e si scarica la responsabilità sul cittadino che deve "acquistare" i propri diritti sul mercato, che non fa sconti a nessuno. Eppure non lo dice solo Rifondazione che c'è bisogno di interventi urgenti contro il caro vita, contro la povertà, a partire dall'innalzamento delle pensioni, comprese quelle di invalidità, e dei salari. Non è solo Rifondazione che invoca la definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale per rendere esigibili i diritti omogeneamente su tutto il territorio nazionale. Ma qualcuno ha almeno letto l'ultimo rapporto della Caritas sulla povertà (un quarto della popolazione è povera)? Se l'Ocse ci mette al sest'ultimo posto per la disuguaglianza tra ricchi e poveri vorrà dire qualcosa o no? Non vogliamo fare i catastrofisti, ma crediamo che la politica debba fare i conti con la realtà e muoversi di conseguenza per cambiarla in meglio. E la realtà ci dice che siamo solo all'inizio di una tragedia sociale, da anni annunciata, che si articolerà in ogni angolo del Paese. Aumenteranno ancora di più i disoccupati, i poveri. Aumenterà la paura del futuro, del diverso. Si ridurranno i servizi essenziali per le persone in difficoltà, dai disabili agli anziani.Opporsi a questo stato di cose e a quello prefigurabile vuol dire opporsi con forza al governo Berlusconi. Un'opposizione che diviene una responsabilità sociale che ogni soggetto politico di sinistra dovrebbe assumersi, perché il conflitto abbia voce e palpabilità politica e si traduca in lotta di classe per ridurre le distanze tra chi specula sulla pelle della gente e chi vuole vivere una vita dignitosa. Una lotta di classe che, nelle coscienze e nelle pratiche della gente, si sostituisca alla guerra fra poveri. Fortunatamente le alleanze su questo terreno di lotta non si costruiscono a tavolino, nelle segreterie dei partiti; ma nascono dal basso, tra la gente, da dove si consuma il conflitto sociale e si articola un'opposizione fatta di azioni concrete. Un'opposizione vera ed utile.
*responsabile nazionale delle Politiche sociali Prc-Se
Liberazione del 02/11/2008