Intervista a Giovanni Russo Spena
di Nicola Mirenzi
«In questo momento sarebbe necessaria una politica radicalmente contro il montismo. E l’accordo tra Vendola e Bersani non va in questa direzione». Giovanni Russo Spena, responsabile del dipartimento giustizia di Rifondazione comunista, crede che un polo alternativo al governo dei tecnici si possa mettere insieme con Sel, l’Idv, la Federazione della sinistra, i sindacati più battaglieri e tutti gli altri movimenti che attraversano la società italiana.
Vorrebbe rifare l’Arcobaleno?
No, si tratta di costruire un progetto politico comune nel paese. Non una fusione tra gruppi dirigenti, ma un costruzione dal basso. Come è stata Syriza in Grecia, il Front de Gauche in Francia. Contro le politiche neoliberiste, contro il razzismo, per il pacifismo.
Sel ha scelto un’altra strada, avvicinandosi al Pd.
L’alleanza col Pd toglie alla costruzione di questa sinistra alternativa un pezzo importante. Ma il fatto è che Sel dice di essere una forza di alternativa ma scendendo a patti col Pd e poi con l’Udc dimostra che non è vero. È impossibile con Bersani rifiutare il fiscal compact e le politiche della Bce. È impossibile cambiare questa politica economica liberista e recessiva. Non ci sono i margini per un centro sinistra avanzato.
Sel dice che non c’è nessun accordo con l’Udc.
Lo sanno tutti, anche loro, che l’accordo con l’Udc ci sarà dopo.
Nel Pd però c’è anche una linea (peraltro maggioritaria) che dopo Monti non vuole ancora Monti. Perché è sbagliato fare leva lì?
Perché spostare il Pd a sinistra non può avvenire in maniera automatica, con il convincimento. Lo sconvolgimento del Partito democratico può avvenire solo se alla sua sinistra si crea una forza di alternativa forte. Ricostruendo una politica industriale, di investimenti e una programmazione economica. Una fetta di elettorato che i sondaggi – anche quelli di Pagnoncelli – danno intorno al 18 per cento.
Addirittura…
A differenza di quello che dice Vendola, una sinistra alternativa non è per nulla marginale.
Che cosa significa essere contro il razzismo e per la pace nel mondo? Mi sembrano due propositi generici, su cui in linea di principio sono d’accordo tutti. Perché sente il bisogno di una sinistra alternativa?
Pacifismo vuol dire evitare gli sprechi di risorse destinate agli armamenti e ritirare le truppe dalle missioni all’estero. Ed essere contro il razzismo significa contrastare l’ondata xenofoba che si respira in Europa, per costruire un’Europa aperta.
Parliamo della vostra politica economica alternativa.
Anche economisti americani come Krugman, Stiglitz, Fitoussi, dicono che bisogna rilanciare la domanda, che bisogna avere il coraggio di una nuova politica di investimenti.
C’è bisogno di una sinistra alternativa per fare questo? Nessuno degli economisti che lei ha citato è anti-capitalista.
Io dico che anche una politica riformista oggi può essere portata avanti solo da una sinistra alternativa e anticapitalista.
Riformismo e anti-capitalismo non le sembrano in contraddizione?
No, perché i riformisti non esistono più, questa è la verità. La linea economica del Pd è del tutto subalterna al capitale finanziario: Bersani ha votato il pareggio di bilancio in costituzione e tutte le cose più aberranti imposte dalla Bce. Checché ne dica il povero Fassina.
Cosa proponete voi?
Indico, come esempio emblematico, la nazionalizzazione delle banche, come Syriza in Grecia.
Ossia?
Bisogna togliere a quei gruppi che hanno guidato la speculazione il potere di orientare i mercati e cambiare radicalmente le politiche finanziarie, spostandole verso il credito alle piccole imprese, alle famiglie e ai giovani.
Perché lo stato – i cittadini – dovrebbe prendersi in carico, ossia salvare, delle banche spericolate, che si sono prese dei rischi insostenibili per loro e per noi?
Noi non vogliamo salvare proprio nessuno. Diciamo di togliere la proprietà delle banche a chi ce l’ha e darla subito allo stato. La verità è che ora le banche pretendono che lo stato paghi i loro debiti, senza accettare in cambio neanche una modifica minima delle loro politiche. Bisogna avere una politica di congelamento, sospensione, annullamento del debito.
Con quali soldi lo stato italiano, coi debiti fino al collo, potrebbe nazionalizzare le banche e finanziare gli investimenti di programmazione economica che lei ritiene necessari?
Noi quei soldi li stiamo spendendo già, solo che in cambio non chiediamo alle banche di cambiare le loro politiche. Nazionalizzare significa invertire la rotta e investire i soldi per rompere con le politiche dell’austerità e rilanciare l’economia.
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