di Mario Pianta

Domani i ricchi e famosi d'Italia si trovano a Cernobbio, sul lago di Como, per fare affari e pensare alle elezioni.
Le nuvole sull'Italia sono nere: ieri l'Ocse ha stimato al 2,4% la caduta del Pil nazionale nel 2012.
Una piccola schiarita in Europa, con Mario Draghi che dichiara «faremo tutto il necessario per l'euro, che è irreversibile», annunciando il programma di acquisto illimitato da parte della Bce di titoli di stato fino a tre anni, a condizione che i paesi interessati firmino un accordo con il Fondo salva-stati europeo per drastiche politiche di austerità. Champagne per la finanza, e Borse tutte in salita. Musi lunghi invece tra gli industriali che guardano al crollo della produzione. I guai della Fiat (e il superbonus di Marchionne) li ha raccontati ieri l'articolo di Pitagora sul manifesto e sbilanciamoci.info.

I guai di elettronica ed elettrodomestici - raccontati da Marco Alfieri sulla Stampa dei giorni scorsi - sono analoghi.
Per Indesit, Electrolux, Whirlpool e piccoli del settore, la produzione è crollata del 40% rispetto a prima della crisi (per l'insieme dell'industria la caduta è del 25%); nel 2003 a lavorare erano 180 mila persone, ora scesi a 120 mila, con 50 mila addetti che sono in cassa integrazione e difficilmente torneranno al lavoro. Peggio ancora nel settore dell'informatica e comunicazione, dove si perdono 20 mila posti di lavoro - soprattutto tecnici e ingegneri - tra Alcatel, Nokia Siemens, Ibm e altre imprese, quasi tutte in Lombardia, quasi tutte filiali di multinazionali straniere in ritirata dall'Italia; è il colpo finale a quel poco che era rimasto dopo la scomparsa di Olivetti, Italtel e altre grandi imprese. Ancora peggio vanno i conti negli altri settori dell'industria.
Le dimensioni della crisi spuntano ieri all'incontro Jobs4Europe, e la Commissione europea riconosce che in Europa «116 milioni di persone sono a rischio di povertà» e che «il 94% dei lavori creati nel 2011 sono part-time e il 42,5% dei giovani ha contratti a tempo determinato». In Italia invece occhi bendati sul lavoro in un confronto governo-parti sociali in cui non c'è nulla sul tavolo. Alle imprese non si chiedono gli investimenti che sono mancati per vent'anni, ai sindacati si chiede di accettare, dopo il taglio delle pensioni e la riforma Fornero, altre riduzioni dei salari e aumenti di flessibilità; l'obiettivo è raggiungere quella «svalutazione interna» che l'Europa chiede ai paesi della periferia: un «modello cinese» di riduzione dei costi per migliorare la competitività di imprese che hanno rinunciato a competere.
Anche a Cernobbio l'industria parla sottovoce, mentre la finanza siede a capotavola; le banche, dopo il grande spavento della crisi, ora siedono sul tesoretto regalato dalla generosità della Banca centrale europea. A progettare affari sarà così soprattutto la finanza, ma di elezioni parleranno tutti. La questione è chi rappresenterà questa volta i ricchi alle urne. I 10 ministri del governo Monti che con Corrado Passera - secondo il Financial Times di ieri - sono pronti a candidarsi? Ancora Berlusconi? Uno dei tanti frammenti centristi? O la nuova accoppiata ultraliberista tra Italia futura (Luca Cordero di Montezemolo) e Fermare il declino (Oscar Giannino)?
In ogni caso, la scommessa sarà accelerare sulla crisi. Neanche lo scudo anti-spread annunciato da Draghi riuscirà a dimezzare (come vorrebbe Banca d'Italia) gli spread sui titoli di stato; i conti pubblici continueranno a peggiorare; oggi abbiamo un rapporto deficit/Pil al 2,2%, dovrebbe scendere a zero nel 2013, impossibile con la recessione che fa cadere le entrate fiscali. Così Mario Monti potrebbe chiedere in autunno (insieme alla Spagna) gli aiuti dell'Europa e sottoscrivere il Memorandum di condizionalità richiesto da Germania e Bce. Tagli di spese e tasse, di salari e diritti, privatizzazioni di tutte le attività pubbliche diventerebbero la via obbligata imposta da Berlino e Bruxelles. La scelta alle elezioni del 2013 non ci sarebbe più: pensiero unico e politiche necessariamente uguali per tutti. Il risultato? Sarebbe una depressione senza uscita.
Ma l'Italia non è fatta soltanto dal 10% dei più ricchi, arricchiti anche nei vent'anni del declino italiano. Le ragioni del 90% si potranno sentire da domani nelle voci delle centinaia di persone, associazioni, esperti e movimenti che da dieci anni Sbilanciamoci! raduna alla «contro-Cernobbio», quest'anno a Capodarco. Anche qui si deve pensare alle elezioni. Non ai candidati, ma ai contenuti.
Siamo appena in tempo per costruire un programma che fermi la depressione italiana, crei nuovo lavoro, rilanci l'intervento pubblico, difenda il welfare e inizi una grande redistribuzione, tassando la ricchezza finanziaria e immobiliare invece del lavoro. Siamo appena in tempo per cambiare rotta.

 

il manifesto 7 settembre 2012

 

 

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