di Stefano Ciccone
Prima dell’estate, in un affollato incontro di militanti romani di sinistra Ecologia e Libertà è nato un documento che ha raggiunto in breve tempo centinaia di adesioni sui social network e moltissime firme. Il documento, che si intitola “non affoghiamo nella vecchia politica le speranze sollevate da SEL”, ha catalizzato un disagio diffuso ma ha anche offerto l’opportunità di trasformarlo in iniziativa e proposta.
L’estate è trascorsa infatti in una grande confusione e in un confronto tra partiti basato su dichiarazioni alle agenzie, annunci e smentite.
Sul fondo si sono però confrontate a sinistra due opposte e speculari forme di rassegnazione all’ineluttabilità di una politica economica che assume come indiscutibili i vincoli imposti dal fiscal compact e dal ricatto dei mercati e all’inattualità di battaglie di libertà, laicità e diritti civili da sacrificare al rapporto con il centro moderato.
L’accettazione obbligata della prosecuzione delle politiche di Monti dopo Monti, condite dal conservatorismo confessionale dell’UDC è raccontata come il quadro obbligato dai cultori a sinistra del “realismo”, ma è data per scontata anche da una parte della sinistra che gli contrappone l’aggregazione di un polo di opposizione caratterizzato dall’ostilità alle politiche del rigore ma non certo omogeneo e credibile nel prefigurare un’alternativa culturale e di società.
Sinistra Ecologia e Libertà, nata per uscire da questa disperante polarizzazione, ha subito più di altri il contraccolpo dell’entrata in crisi di una prospettiva di alternativa; aggravata dall’ipotesi di una legge elettorale truffaldina con premio al primo partito che avrebbe imposto una presenza subalterna nelle liste del PD.
Non è quindi per caso o per un equivoco che l’assemblea che si terrà il 30 settembre a Roma sulla base del documento dei militanti di SEL ha acquisito un rilievo nazionale per numero e qualità delle adesioni.
Come prevedibile l’iniziativa è stata da subito oggetto di fraintendimenti e interpretazioni dietrologiche a volte al limite del ridicolo: per il “foglio” un’iniziativa sostenuta da “gli altri”, per “gli altri” un’iniziativa promossa da chi è vicino al documento respinto all’assemblea nazionale di SEL, in genere l’assemblea degli scontenti o dei dissidenti. Molta fantasia e confusione per un’iniziativa che, invece, potremmo semplicemente definire dei “non rassegnati”.
Ma per fortuna l’estate non è trascorsa invano e ha prodotto passi avanti proprio in questo primo scorcio di settembre. L’assemblea nazionale di SEL ha visto un cambiamento nel profilo e nel modo di stare nella discussione (un cambiamento che spesso stenta ad essere praticato da pezzi di ceto politico locale): un’esclusione più netta dell’ipotesi di alleanza con l’UDC, un’ostilità esplicita alla paventata riforma elettorale, l’apertura di un conflitto limpido sui diritti civili, l’adesione ai referendum sul lavoro. Allo stesso tempo l’ipotesi di un frettoloso scambio tra PD,PDL e Lega sulla legge elettorale non è tramontata ma potrebbe arenarsi mutando uno dei capisaldi di un’ipotesi di rottura del centrosinistra e di egemonia moderata su una sua parte significativa.
Chi ha chiesto e cercato di contribuire all’esplicitazione di un ruolo più autonomo e propositivo della sinistra non può che essere soddisfatto: la discussione, la presa di iniziativa servono e possono contribuire a “costruire” la proposta politica di un soggetto collettivo.
Per questo non ci è piaciuta la reazione infastidita e insofferente verso i contributi critici che rappresenta una caduta, speriamo accidentale, nella stessa fisionomia culturale di SEL.
Quella sulla qualità della vita democratica, della partecipazione è una riflessione che va ben oltre SEL. Per rappresentare un’alternativa al confronto disperante e disperato tra politicismo e “antipolitica” è necessario produrre una critica alla radice dello statuto della politica stessa: il suo fondarsi sulla separatezza tra pubblico e privato, sulla gestione del conflitto in base alla logica amico-nemico, su modelli di appartenenza basati su gerarchia, delega, rimozione delle differenze.
Sarebbe quindi fuorviante liquidare questa proposta come strumentale per mettere in discussione l’ispirazione strategica di SEL a favore di una aggregazione che si tira fuori dalla sfida di una proposta di governo, e nemmeno frutto di una generica e innocua pulsione di una “base” che chiede partecipazione: una petizione di principio poco capace di misurarsi con la politica.
Al contrario il documento si colloca nella discussione con una proposta originale: mettere al centro proprio il nesso tra la qualità delle forme di partecipazione e la credibilità di una proposta politica di cambiamento.
Perché la sfida di determinare un diverso profilo programmatico del centrosinistra non si può affidare alle dichiarazioni sui giornali, perché la necessaria autonomia politica e culturale per svolgere questo ruolo non può essere affidata a un ceto politico locale spesso più preoccupato da un’ansia di autoconservazione.
Se c’è una critica che crediamo di poter fare al gruppo dirigente nazionale è di non aver assunto per troppo tempo la responsabilità di costruire SEL come corpo vivo, aperto, democratico e partecipato.
Senza la capacità di ripensare il modo di vivere, di decidere, di stare nella società di SEL la sua proposta politica risulta menomata nella credibilità e autorevolezza.
Ma non solo: la stessa prospettiva di partecipazione a una coalizione di centrosinistra, senza una capacità di iniziativa autonoma tesa a mutarne gli orientamenti muta di segno: da sfida per determinarne il profilo basata sulla capacità di connessione con movimenti ed esperienze sociali, si riduce ad aggregazione accessoria e subalterna, tendenzialmente ininfluente sia sulla capacità di vittoria della coalizione sia sulla qualificazione della sua politica.
Chi cerca di spendersi per un’esperienza di governo effettivamente di alternativa deve misurarsi con la realtà dei fatti e con la forza delle difficoltà e dei condizionamenti in campo: come potrebbe reggere un’esperienza di governo? I vincoli determinati dal fiscal compact e dalla speculazione non sarebbero archiviati automaticamente dopo il voto, anzi. Le difficoltà di Hollande lo dimostrano.
Il tema è come produrre quella connessione tra soggetti politici, sinistra larga e movimenti per produrre quella necessaria spinta per mutare gli orientamenti diffusi nella società, nella coalizione che si candida al governo e nelle politiche europee. Per questo la scommessa di SEL resta non solo attuale ma decisiva per chi non voglia rassegnarsi a una lunga stagione segnata da politiche moderate che determinerebbero prezzi drammatici per il Paese.
Che poi in questo scenario ci si collochi al governo o all’opposizione è quasi marginale: il problema è se si intende operare per contrastarlo e scongiurarlo.
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