Intervista a Paolo Ferrero di Romina Velchi
«La nostra proposta politica si conferma in sintonia con la realtà. Ora lo schema della rincorsa al centro è più difficile». Per Paolo Ferrero, segretario del Prc, la lettura del risultato dei ballottaggi non può prestarsi ad equivoci. A Bersani l’appello è a dare subito seguito alla proposta del fronte democratico per battere la destra. A Vendola e Di Pietro di lavorare con la Federazione per l’unità della sinistra.
Ferrero, chi ha perso queste elezioni?
Certamente Berlusconi, ma anche la Lega. Si è rotto l’asse che li teneva uniti, tanto è vero che la maggioranza va peggio al Nord che al Sud. Hanno pensato che per vincere fosse sufficiente la propaganda della paura, alla Borghezio, su immigrati, rom, islam ecc, ma stavolta non ha funzionato.
Perché no?
Perché Il governo non ha dato una risposta alla crisi e al peggioramento delle condizioni sociali. Un peggioramento che spaventa di più proprio il Nord, compresi quelli che votavano a destra. Quindi si tratta di una sconfitta vera, specie se si tiene conto che la Lega non ha capitalizzato, come pensava di fare, la crisi di consenso di Berlusconi.
Conseguenze sul governo?
Nell’immediato la Lega starà ferma. Una crisi di governo ora non conviene nemmeno a loro: rischierebbero di perdere ancora di più. Contemporaneamente, però, Bossi sta iniziando a differenziarsi per ricostruirsi uno spazio politico. D’altra parte aveva già iniziato dopo la batosta del primo turno. Non mi stupirei se il Carroccio desse indicazione di votare sì ai referendum, se non altro per non stare tra gli eventuali sconfitti. E infatti, lo stesso Bossi ha definito «attraente» il referendum sull’acqua. Insomma, Berlusconi era il perno dell’alleanza. Questo perno è saltato, ma la Lega non ha ancora una carta di ricambio. E lavorerà per creare le condizioni per sganciarsi.
Tra le altre cose, è venuta proprio dal Carroccio la proposta di modificare la legge elettorale.
E’ proprio una delle mosse che consentono di creare le condizioni di cui sopra. E anche con la proposta di Casini (un governo senza Berlusconi per fare la riforma) si ottiene lo stesso risultato. La Lega potrebbe accettare: in fondo porterebbe a casa il federalismo e in più la legge elettorale che gli consentirebbe di correre da sola e liberarsi dall’abbraccio ormai mortale con il Cavaliere. Il che, comunque, non vuol dire che farà saltare il governo ora. Lo farà quando ne avrà la convenienza politica.
E, invece, chi ha vinto?
Beh, senza ombra di dubbio vince lo schema centrosinistra più sinistra. E vincono quelle candidature che per storia e profilo si pongono come esterne al sistema bipolare dei partiti (dove ci si insulta, ma poi “pari sono”); cioè, che non sono espressione dell’apparato. De Magistris in questo senso è emblematico, se si considera che ha preso voti a 360 gradi e che è andato al ballottaggio senza alcun accordo con Pd e Sel, marcando così la sua autonomia dal centrosinistra, che a Napoli è fortemente screditato.
Che vuol dire questo?
Che c’è una critica molto forte al sistema politico, quello che genera il litigio ma senza concretezza; che suscita solo tifo calcistico senza che si capisca qual è l’oggetto del contendere; nel quale sai già che i poteri forti sono sempre tutelati.
E che ne facciamo di questa critica?
A livello comunale si aprono due possibilità. Una è quella per la quale tale critica viene sussunta dal sindaco, in una sorta di “ghe pensi mi” di sinistra, correndo dritti dritti verso il populismo. E’ la strada che io considero sbagliata. La seconda possibilità sta nel far sì che la rottura dell’universo politico bipolare apra la via all’espressione, al protagonismo di una soggettività sociale. No, dunque, ad una pura e semplice delega al sindaco, ma attivare dal basso forme di protagonismo e aprire così un nuovo spazio politico. Quartieri, movimenti, istanze, autorganizzazione sociale devono diventare interlocutori dialettici e fecondi con l’amministrazione e gli eletti. In questo modo, tra l’altro, si ottiene che la partita si giochi su un nuovo campo di gioco, quello dove non si confrontano solo i poteri forti e la giunta. Che è poi l’occasione per praticare i bilanci partecipati. Non si deve lasciare che queste intelligenze sociali si attivino solo ogni 5 anni. Questa è la vera sfida da raccogliere adesso dove abbiamo vinto.
I rapporti a sinistra adesso sono più facili o più difficili?
Intanto bisogna dire che il risultato è inequivoco: si vince con un aggregato politico fortemente spostato a sinistra e con candidati fortemente di sinistra. E’ il contrario dell’idea veltroniana dell’accordo col centro. Per loro, rincorrere quello schema adesso è più difficile. Per noi, invece, è più agevole riproporre lo schema su cui insistiamo da sempre: un’alleanza Pd più sinistra per battere la
destra e unità a sinistra per battere il berlusconismo (che non è solo Berlusconi). I ballottaggi hanno dimostrato che la nostra proposta politica è in sintonia con la realtà e che dunque non siamo né velleitari né estremisti. Unità su campagne sociali, a cominciare dai referendum, che è un’altra partita decisiva: con quella vittoria si può scardinare definitivamente il centrodestra e anche stoppare le mire di Montezemolo e Confindustria. Ma anche unità su campagne quali la redistribuzione del reddito, il no alle grandi opere, le delocalizzazioni, le spese della politica, ecc.
Però, finora, l’unità a sinistra non ha camminato granché.
Si aspettavano che uscissimo cadaveri da questa nuova tornata elettorale e dunque di risolvere il problema semplicemente cancellandoci. Invece siamo più in salute di prima, nonostante un brutale oscuramento. Occorre proporre e riproporre l’unità a sinistra, compresi i gruppi consiliari unitari.
Una proposta a Bersani.
Al leader Pd propongo di fare subito un fronte democratico, lasciando perdere l’inseguimento del centro, e costruire insieme una mobilitazione nel paese per arrivare alle elezioni.
E a Vendola.
Le primarie non bastano: uniamo tutta la sinistra (quella che si ritrova sulle posizioni della Fiom, per intenderci) per costruire la massa critica necessaria a cambiare i programmi. E’ necessario pesare di più, perché abbiamo vinto nelle urne, ma giusto qualche settimana fa i lavoratori della Bertone hanno dovuto accettare un ricatto per poter continuare a lavorare. Sono vere entrambe le realtà: la disperazione, la solitudine e la sofferenza sociali e la speranza. Non può bastare solo cambiare un sindaco, ma serve una lotta per raggiungere obiettivi concreti. L’unità a sinistra – a partire dal rilancio della Federazione – è decisiva. Anche per sconfiggere il sentimento d’impotenza. Avanziamo questa proposta da un punto di vista comunista. Perché occorre far crescere una critica di massa alle politiche economiche neoliberiste, sapendo che la Grecia non è lontana; che quando la speculazione avrà finito lì, attaccherà da qualche altra parte; e che i banchieri stanno meglio oggi che nel 2008. La critica al capitalismo e nuove forme di partecipazione democratica dal basso sono ciò che caratterizza la rifondazione comunista. Il referendum sull’acqua parla anche di questo.