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di Gianni Ferrara
La proposta di Marcello Pera, eleggere nel 2013 anche un'assemblea costituente, è un cavallo di Troia per abolire la natura solidale e sociale del nostro patto repubblicano
Con plateale vilipendio della volontà popolare espressa il 25-26 giugno di sei anni fa a conferma solenne della Costituzione repubblicana, il senatore Pera annunzia (Il Corriere della Sera del 4 luglio) di avere presentato «in modo del tutto autonomo» un disegno di legge «di revisione costituzionale» diretta a provocare che nella «primavera del prossimo anno si elegga assieme a Camera e Senato un'Assemblea costituente» composta di 75 membri, che, entro dodici mesi, dovrebbe «redigere il testo della nuova Costituzione» da sottoporre nei tre mesi successivi a referendum. A convocare detta assemblea dovrebbe essere il Presidente della Repubblica in carica il cui mandato verrebbe prorogato.
Il senatore Pera usa per questa sua proposta la denominazione di «disegno di legge di revisione costituzionale». Evidentemente non sa - o sa anche troppo bene - che non di revisione costituzionale si tratta ma di altro. Di un disegno eversivo, progettato e dichiarato.
Un senatore della Repubblica, già Presidente del Senato, dovrebbe infatti sapere, e sa, che quello di revisione è "potere costituito" non è "potere costituente", distinzione ben nota a chi avrà sentito parlare di un certo abate Sieyès. È infatti previsto e regolato dalla Costituzione vigente all'articolo 138. Mira a consentire che il testo della Costituzione possa essere rimodulato, integrato, modificato secondo il procedimento prescritto. Ma non nei suoi principi fondamentali, non nei diritti inviolabili che riconosce, non nella forma di stato che sancisce, non nello spirito, non nel compito che assegna alla Repubblica e, comunque mai nel suo insieme. Il senatore Pera mira invece alla redazione di una "nuova Costituzione", quindi a sostituire la Costituzione vigente, ad abrogarla. Pretende poi di realizzare questo disegno usando un procedimento proprio dell'ordinamento che mira a liquidare. In uno stato di diritto la proposta di Pera sarebbe dichiarata inammissibile. Configura, in modo esemplare, come del resto quella che propone il referendum "di indirizzo" sulla forma di governo, l'uso illegale del potere legale.
Ha dei precedenti questa tecnica eversiva, è di quelle sperimentate e praticate con successo in Italia. Fu con leggi ineccepibili dal punto di vista procedurale che si avviò e si compì l'instaurazione del regime fascista. Le leggi liberticide, quelle sui poteri del governo e del suo capo, quella che istituì il tribunale speciale, quelle antiebraiche, quella che sostituì alla camera dei deputati la camera dei fasci e delle corporazioni furono tutte approvate da un parlamento, svuotato di rappresentanza, ma secondo regolamenti e prassi vigenti e furono tutte sanzionate e promulgate dal re fellone, Vittorio Emanuele III.
Il senatore Pera conosce questi precedenti. A proporre tuttavia un tale processo eversivo sarebbe l'incapacità dei partiti in Parlamento di procedere sulla via delle riforme della forma di governo avviate in Senato (sulle quali abbiamo riferito su questo giornale) il cui testo «morirà in Senato il giorno stesso in cui sarà licenziato» non ostante che «Dio solo sa» quanto bisogno se ne abbia, secondo Pera. Ma si è mai chiesto il senatore Pera il perché da trenta anni ci si lamenta della mancanza di potere decisionale del Governo e del Presidente del Consiglio? Ha mai sospettato che si mascherasse in tal modo l'incapacità di governare dimostrata inequivocabilmente anche in caso di maggioranze amplissime e di leadership incontestate ? Non si tratta per caso di inettitudine a governare riversate ignobilmente su carenze delle istituzioni ?
IL senatore Pera aggiunge altre motivazioni. L'una attiene alla disattenzione che mostra il Parlamento italiano rispetto a quello degli altri Paesi in ordine alle profonde trasformazioni degli assetti di potere politico che stanno intervenendo tra stati e istituzioni europee. Constatazione ineccepibile. Ma è la Costituzione che lo impedisce o è la qualità mai tanto modesta dei parlamentari italiani non eletti ma nominati dai capipartito?
Le altre ragioni addotte sarebbero quelle del fallimento del federalismo del Titolo V, della presunta carenza del potere del Presidente del Consiglio di revocare i suoi ministri, dell'estensione del potere del Presidente della Repubblica, del carattere del "regime parlamentare" in cui il governo dipende dalle decisioni dei "gruppi parlamentari". Esaminandole, iniziando da quest'ultima, si può facilmente rilevare che il regime parlamentare è tale proprio perché realizza la dipendenza del governo dal Parlamento e dalle sue articolazioni. Da chi altro potrebbe dipendere, da nessuno?
Quanto al Titolo V, è appena il caso di ricordare che il testo vigente non è quello contenuto nella Costituzione del 1948, ma è il prodotto del revisionismo delle istituzioni esibitosi undici anni fa. Ed è o un esempio illuminante dell'insipienza giuridica e politica del revisionismo, riformismo, nuovismo costituzionale. Mobilitarlo per redigere una nuova costituzione è, al minimo, prova di irresponsabilità.
Quanto, invece al potere del Presidente del Consiglio di revocare i ministri, non c'è problema. In caso di renitenza può indurre la sua maggioranza ad avanzare la sfiducia individuale e votarla. Il senatore Pera lo sa.
Sull'incremento dei poteri del Presidente della Repubblica è da osservare che è opinione del tutto personale quella sulla scarsità dei poteri politici del Presidente della Repubblica. Ma è in netto contrasto con la dottrina costituzionalistica italiana che già dagli inizi degli anni '50 di poteri politici del Presidente ne ha individuati e studiati molti, qualificandoli tutti come poteri "non di parte". È vero che la gravissima crisi finanziaria ed economica che attraversiamo li ha incrementati ma perché si è congiunta ad una crisi politica derivante da un Parlamento di ridotta forza rappresentativa e da un governo dimissionato per incapacità. La provvida elasticità del regime parlamentare ha consentito che i poteri del Presidente si dispiegassero supplendo le carenze degli altri due organi del sistema parlamentare di governo. Va soprattutto apprezzato che dispiegamento e supplenza si sono sempre caratterizzati da un esercizio "non di parte".
Suvvia, le motivazioni addotte dal senatore Pera non sono, francamente, di pregio. Ma, a riflettere, riguardano solo la forma di governo. La proposta di un'assemblea costituente però implicherebbe la redazione di un intero testo costituzionale, abrogativo anche della Prima Parte della Costituzione vigente, quella dei principi fondamentali, dell'eguaglianza materiale, dei diritti, anche di quelli sociali. Desta un sospetto non manifestamente infondato. Con i tempi che corrono, con i tagli del finanziamento del welfare, con la compressione massiccia dei diritti sociali non è che il compito previsto per l'assemblea costituente che propone sia proprio quello di redigere una costituzione che liberi le classi dominanti dalle conseguenze dall'eguaglianza sostanziale, dall'efficacia dai diritti sociali, dalle domande della democrazia incompatibili col capitalismo neoliberista ?
da Il Manifesto, 06/07/2012

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