di Nicola Nicolosi
Le politiche del governo Monti si ispirano ad una cultura neoliberista, una filosofia che individua il nemico in tutto ciò che è pubblico. Questa strategia di azione accomuna l’attuale presidente del Consiglio al suo predecessore, Silvio Berlusconi. Più in generale, lo accomuna a tutti i governi del centrodestra europeo. Al fallimento delle politiche di mercato il governo non sceglie di rispondere con interventi keynesiani in modo da far crescere la domanda, ma sceglie piuttosto l’attacco ‘alzo zero’ alla pubblica amministrazione, nel tentativo di smantellare progressivamente tutto ciò che è pubblico.
La regola alla base delle politiche del governo Monti è restringere il perimetro dell’intervento pubblico e far crescere il privato. Sono politiche depressive che non aiutano la crescita e lo sviluppo. Rischiano di penalizzare l’economia produttiva senza che vengano messi in campo interventi per ridurre l’egemonia del settore finanziario. L’Italia e l’Europa avrebbero bisogno di ben altro.
Le organizzazioni sindacali – tutte quante – hanno firmato il 3 maggio scorso un accordo con il governo sulla riforma della pubblica amministrazione. Quell’intesa, siglata dal ministro della Funzione pubblica e dai sindacati, è stata buttata nel cestino della carta straccia. L’accordo avrebbe dovuto tradursi in una legge delega. Non ce n’è traccia.
Invece sono arrivati i tagli della ‘spending review’, per giunta presentati con una semplice informativa, senza alcuna discussione con le parti sociali. La domanda è d’obbligo: può essere ritenuto affidabile un governo che straccia accordi sottoscritti appena due mesi fa?
Nel dettaglio, la sospensione dei concorsi per il pubblico impiego fino al 2016 crea le condizioni per il lavoro a chiamata, accresce il potere del politico di turno, senza rispettare l’articolo 97 della Carta costituzionale, che recita testualmente “si può accedere alla pubblica amministrazione solamente per concorso”. La riduzione del 10% dei lavoratori delle amministrazioni pubbliche porterà ad un’inevitabile diminuzione dei servizi offerti ai cittadini.
E tutto questo accade partendo da un assunto che non corrisponde al vero, perché la spesa italiana per la pubblica amministrazione è inferiore a quella dei principali Paesi europei.
Dire che gli italiani spendono di più della media Ue è una bugia, una bufala spacciata per giustificare un autentico colpo di scure.
Infine il governo ha proposto di sospendere fino al 2013 – ma solo nella pubblica amministrazione – gli effetti della legge Fornero, offrendo di fatto la possibilità di andare in pensione con il sistema precedente a quello attuale. Ma questo creerà una disparità di trattamento fra lavoratori pubblici e privati che non può in alcun modo trovare d’accordo il sindacato: un ulteriore elemento di divisione fra pubblico e privato, quando invece le leggi dovrebbero valere per tutti.
Il nostro giudizio sull’azione del governo è totalmente negativo. Che fare allora? L’unica risposta possibile è l’apertura di una fase di lotta nella pubblica amministrazione, portando avanti un’azione contro il governo che nel giro di pochi mesi ha colpito le pensioni, il mercato del lavoro, l’articolo 18, tutta la pubblica amministrazione.
Dobbiamo costruire le condizioni per una mobilitazione generale, perché questo governo cambi linea politica, cambi linea economica e attivi politiche di intervento pubblico. Va cambiato il paradigma di riferimento per dare risposte a una realtà fatta di disoccupazione sempre crescente, in particolare per i giovani e le donne, che colpisce i pensionati.
Le iniziative di lotta che verranno messe in campo dovranno avere la capacità di unire le mobilitazioni dei lavoratori, pubblici e privati. Il mondo del lavoro deve restare unito, va respinto ogni tentativo di dividere, per creare le condizioni per arrivare alla sciopero generale.
*Segretario confederale Cgil, Responsabile nazionale pubblico impiego